
Firenze – E’ un giovedì soleggiato, a Roma, ma fa piuttosto freddo. Nella basilica bramantesca di San Lorenzo in Damaso, incastonata nel palazzo della Cancelleria, il grande complesso del Vignola affacciato sull’omonima piazza, si celebra il Santo del giorno, S.Damaso Papa appunto, primo Pontefice Massimo.
A pochi metri dal luogo, i fedeli che escono dal piccolo ingresso posto su Vittorio Emanuele II, si imbattono in un ininterrotto flusso di passanti che, spinti dai capi sezione del PNF, si dirigono verso la vicina Piazza Venezia. Sono impiegati, professionisti, militari, gerarchi, insegnanti, commercianti, qualche intellettuale. Chi in borghese, chi in camicia nera, chi in orbace. Gli studenti universitari dei Guf, incolonnati, inneggiano e agitano bandiere e stendardi. La piazza si riempie lentamente.
Nell’attesa che si apra la vetrata, la folla si rinserra, pesticcia, batte i piedi, per il freddo ma sopratutto per la fame. Da tempo ormai vige il razionamento dei generi alimentari: dal primo ottobre spettano solo 200 grammi a testa di pane monotipo, ridotta la razione di carne, limitata al fine settimana la pasticceria. E’vietata la vendita del caffè così come la produzione di carne in scatola. Il Servizio Censura del SIM registra la svalutazione della lira, la stampa della carta moneta con deprezzamento del 40%, il parziale incameramento statale dei depositi a risparmio, la confisca di gioielli e oro.(1) La ricerca di alimenti al mercato nero, contrastata vanamente dalla proibizione dell’uso della benzina per automezzi civili e da più inasprite sanzioni, diventerà a breve un problema di sopravvivenza.
Giovanni Ansaldo – racconta Indro Montanelli – viene convocato urgentemente da Ciano che, disperato, gli riferisce di un Mussolini intenzionato a seguire Hitler anche nella guerra contro l’America. «Cosa posso fare per dissuaderlo?», chiede il Ministro. Una cosa sola – risponde Ansaldo – provi a mostrargli un elenco telefonico di New York. Forse capirà (2)
Eppure, pochi mesi prima, il 23 febbraio, nel suo discorso al Cinema Adriano, Mussolini aveva pubblicamente sostenuto che l’intenzione, da parte delle potenze dell’Asse, di attaccare l’America era una pura menzogna: “Né Roma né Berlino covano fantastici progetti del genere. Tali progetti non potrebbero partire che da una inclinazione manicomiale. Totalitari certo lo siamo e lo saremo, ma coi piedi sulla dura terra”.(3)
Forse qualche diplomatico dei consolati di Chicago o di Baltimora, qualche attaché militare dell’ambasciata di Washington, qualche informatore lo avevano messo in guardia sulla potenza dell’industria delle armi americana, sui cantieri navali o sulle linee di produzione aeronautica? Niente di tutto ciò, a quanto sembra!
Le tre del pomeriggio.
Sono trascorsi poco meno di sei mesi dalla dichiarazione di guerra alla Russia e la situazione, in questo scorcio d’anno, non è per nulla confortante: tra il 26 e il 29 marzo tremila marinai italiani perdevano la vita nello scontro navale di Capo Matapan: il 23 aprile si era conclusa la miserabile e umiliante campagna di Grecia; il 9 novembre un convoglio mercantile di cinque navi da carico e due petroliere diretto in Libia veniva attaccato e affondato insieme a due cacciatorpediniere della scorta; Il 27 novembre con la capitolazione di Gondar si cancellava la presenza italiana in Africa Orientale; il 28 novembre, con la fine dell’assedio di Tobruk e la ritirata del maresciallo Rommel dalla Cirenaica si metteva a rischio la tenuta della Libia.
Si apre la vetrata e Mussolini si affaccia al balcone del palazzo Venezia, affiancato dagli ambasciatori tedesco e giapponese, annunciando l’entrata in guerra con gli Stati Uniti d’America.
Tra la folla c’è il capo dell’agenzia americana Associated Press Richard G.Massock che registrerà freddamente l’evento: «Mussolini aveva perso il suo fascino….Dopo diciotto mesi l’Italia era stata battuta su tutti i fronti….Gli italiani erano pronti per una pace separata.» (4)
Ciano commenta nel suo diario: «Mussolini ha parlato dal balcone. Un discorso breve e tagliente che cadeva su una piazza traboccante di folla. ….La manifestazione, però, nel suo complesso, non è stata molto calorosa: non bisogna dimenticare che erano le tre pomeridiane, la gente aveva fame, e la giornata piuttosto rigida. Tutti elementi poco adatti per eccitare all’entusiasmo.»(5)
Più aderente al vero l’annotazione di Bottai: «Cronaca scialba. La piazza gremita ma inorganica, esanime. Sono le tre. Quella folla ha fame. Non grida, non urla: languisce. Mussolini parla breve e scialbo: non una formula scintillante e captante esce dalla sua voce forzata. Al “vinceremo” finale. la gente si disperde rapida, verso i deschi razionati. »(6)
Ma ancora più sferzante il diario di Leo Longanesi: « Si tratta, questa volta, della dichiarazione di guerra agli Stati Uniti d’America. Luoghi comuni e povertà di argomenti da far paura: “memorabili eventi”, “un nuovo corso della storia”, “risoluti a tutto”, “i soldati del Sol Levante”. Un vecchio signore accanto a me approva con dondolii del capo. Moravia è agitato: non riesce più a star fermo un attimo. Si dimena, scalcia, si stuzzica con le unghie i foruncoletti che ha in viso e si asciuga il sangue con il fazzoletto. Guarda distrattamente un po’ tutti, poi finisce col dire che è stanco della guerra, che è stanco dei nostri discorsi, ch’è costretto ad occuparsi di cose che, in fine, ben poco lo interessano. »(7)
In tempi più recenti Montanelli annoterà: «Poche frasi, più che mai un collage di slogans. L’entusiasmo della folla oceanica ci fu, ma meno ardente che in altre occasioni: forse perché faceva freddo, forse perché erano le tre del pomeriggio, e molti non avevano ancora pranzato. O forse perché, dopo un anno e mezzo di spensieratezza, i disagi e le restrizioni cominciavano ad essere avvertiti anche in Italia.»(8)
Saluto al duce e la vetrata si richiude. La folla sciama attonita. Al capo della polizia che viene a rapporto poco dopo il duce confida: «Capirete che piacere stare in mezzo agli ambasciatori del Giappone e della Germania per annunciare che abbiamo un nuovo nemico l’America.»(9)
Come è finita lo sappiamo.
Neppure un anno dopo, l’8 novembre, forze anglo-americane sbarcano in Marocco e Algeria con oltre 300 navi da guerra, 110 da carico e 70.000 uomini: preannucio di quella che sarà, l’8 luglio del 1943, l’invasione della penisola, con 2.800 navi, 160.000 uomini, 600 carri armati, 1.000 cannoni e 4.000 aerei. (10)
Tre giorni più tardi, l’11 novembre, Mussolini, per ripicca, invia in Corsica un corpo di spedizione. Non ha di meglio, per lo sbarco, che una flottiglia di motovelieri!
“Cose da pazzi” commenterà Ciano nel suo diario.(11)
NOTE
- De Felice Mussolini e il fascismo, Crisi e agonia del regime, 2019, pag. 747 nota 2
- Indro Montanelli, Diari New York, 7 marzo 1953
- Benito Mussolini, Discorso del 23 febbraio 1941 al Teatro Adriano di Roma
- Richard G. Massock, Italy from Within, 1943
- Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, pag 565-566, Milano 2006
- Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, pag 292
- Leo Longanesi, Parliamo dell’elefante (Frammenti di un diario)
- Montanelli, Cervi, L’Italia della disfatta,pag.183, Milano 1983
- Giorgio Bocca, Storia d’Italia nella guerra fascista, Milano, 1997
- Nei quattro anni di guerra solo il bombardiere pesante americano B24 Liberator fu prodotto in 18.482 esemplari. Per aumentarne la produzione la Consolidated triplicò le dimensioni del proprio stabilimento diSan Diego in California e ne costruì un altro a Fort Worth in Texas. I B-24 furono costruiti anche dalla Douglas a Tulsa in Oklahoma, dalla North American a Dallas in Texas e dalla Ford a Willow Run presso Detroit, in uno stabilimento di 330.000 metri quadrati costruito appositamente e che raggiunse una produzione di 428 Liberator al mese.
- Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, pag 666, Milano 2006