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“Cartoline da Chinatown”: impressioni da un crocevia di strade, capannoni ed etnie

Prato – La Chinatown come non l’avete mai vista, né letta. Uno sguardo gentile che si posa lieve su scritte, suoni e persone che vivono nella Chinatown pratese: è quello che descrive con attenzione leggera (ricordate la leggerezza secondo Calvino?) Federica Zabini, scrittrice quasi per caso, che nella sua opera prima “Cartoline da Chinatown”, pubblicato da Iskretiae Edizioni, riesce nell’impresa temeraria di narrare un piccolo mondo contemporaneo senza mai scivolare nei cliché o, ancor peggio, nella banalità del caramelloso.

E forse lo fa così bene perché è lei stessa a vivere in quell’incrocio di strade, capannoni e di etnie che si ritrovano a convivere gomito a gomito, ma ancora senza riuscire a capirsi e a mescolarsi.

Ma la scrittura, si sa, ha lo sguardo più lungo del nostro naso. E il melting pot diventa realtà nell’immaginazione di Federica, che dedica queste sue Cartoline al futuro sindaco pratese, Mimmo Yang.

Per il resto non c’è nulla di inventato, ma solo osservazione meticolosa di quello che succede intorno a lei: “Di notte le fabbriche hanno dorsi luminosi. Sembrano scrigni con intarsi di madreperla” tratteggia lapidaria descrivendo i capannoni del Macrolotto Zero, là dove tutto brulica di lavoro e di persone, quasi senza sosta.

Ma anche un salto al supermercato diventa una buona occasione per osservare, tra l’ironico e l’indulgente, aspetti curiosi e caratteristici della Chinatown Made in Prato: “Non sembrava per nulla a disagio nel suo pigiama intero di ciniglia marrone con cappuccio felpato. E non è esattamente come una furia che se ne era uscito dal negozio ciabattando (…) Di sicuro farebbe invidia alla mia amica Gabriella, che un giorno su due si presentava a scuola con il pigiama che le sporgeva fuori dall’orlo dei pantaloni. E fa invidia anche a me, per la naturalezza con cui si aggira per lo spazio, non distinguendo tra l’ambiente chiuso della casa, intimo, e il mondo di fuori, ugualmente prossimo e familiare”.

È dunque la familiarità con l’altro, e l’umanità, a fare di questo piccolo libro un gioiello raro di alta letteratura, ovvero quella che regala un punto di vista alternativo e contrario rispetto alla narrazione dominante, costringendo il lettore a ripensare a quello che fino ad allora era stato etichettato e percepito come “diverso”. Ed è proprio sul paradigma della diversità che si compie il miracolo: se il diverso viene descritto e raccontato in maniera diversa, allora diventa naturale, capito e compreso.

La nostra Cartolina preferita rimane però quella de “Il quadrato magico”: “Quang, shiu, peng, lin, gao, mei, tian s’insinuano ordinati nelle fessure delle persiane e titillano i miei timpani addormentati (…) I bambini della casa rossa fanno lezione di mandarino”.

Poco dopo Federica si chiede “cosa se ne faranno di quelle parole, come le uniranno, e dove, in quali occasioni”.

Alcune volte succede che una semplice frase sia più incisiva ed efficace di un trattato di sociologia. C’è, dietro di essa, un mondo di aspirazioni, sacrifici e il sacrosanto desiderio di mantenere le proprie radici, anche linguistiche – tipico di tutte le prime generazioni- unito alla realtà quotidiana di bambini che parlano un ottimo italiano e forse il mandarino lo parleranno solo quando torneranno in Cina per riabbracciare i nonni.

O più probabilmente, questi bambini, e con loro Mimmo Yang, useranno la lingua dei loro padri per conoscere, scoprire e decifrare un mondo che tra vent’anni avrà forse capito la fortuna di mescolarsi, senza perdere la propria identità.

Il libro sarà presentato domenica 29 ottobre p.v. alle ore 11 al Caffè Bacchino di Prato, in piazza delle Carceri.

 

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