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Gli ultimi giorni di Carlo Monni: uomo diritto, rustico e fiero

Firenze – Per qualcuno è l’irascibile Gino di “Benvenuti in Casa Gori”, dolceamaro capolavoro natalizio di Alessandro Benvenuti che agli odierni cinepanettoni, per dirla alla toscana, gli dà le paste. Per altri è Bozzone, amico fraterno e poco ci manca patrigno di Roberto Benigni in “Berlinguer ti voglie bene”. E per altri è tanto altro ancora, dal Vitellozzo di “Non ci resta che piangere” alla spalla perfetta di Massimo Ceccherini e Alessandro Paci nello spettacolo teatrale “Fermi tutti, questo è uno spettacolo”, più semplicemente conosciuto come Pinocchio.

Per chiunque tuttavia, è, Carlo. Carlo Monni. Purtroppo era, Carlo Monni, perché un malaccio se lo è portato via ormai quasi quattro anni fa, a 70 anni ancora da compiere. Non c’è una particolare occasione per doverlo ricordare. Non ci sono anniversari, o ricorrenze che servono da input a un toscano per rimembrare le gesta poetico-triviali di Carlo Monni. C’è solo la sua mancanza, la sua assenza percepibile tanto e più forte di quando era in vita.

Chi vive Firenze e soprattutto il Parco delle Cascine, che ci vada a correre o a far scorrazzare il proprio cane o semplicemente a rifugiarvisi dallo smog cittadino, si aspetta da un momento all’altro di vederlo camminare a passo svelto, Carlo, con una busta della spesa in mano e abbozzando dei simil-esercizi di respirazione. In sandali, naturalmente, pioggia sole neve o vento che sia. E invece Carlo non c’è più. Però ad aiutarci a non dimenticarlo – dimenticarlo è impossibile, diciamo a tenerlo vivo – ci pensa Pilade Cantini, che poco prima di Natale ha dato alle stampe “Carlo Monni – Balenando in burrasca” (Edizioni Clichy), un libercolo che non vuole essere una biografia, e nemmeno un prontuario delle sue battute più famose.

In “Balenando in burrasca”, Cantini altro non fa che mettere in cronaca gli ultimi giorni di Carlo Monni, visti dal lato di chi, se non bene conosceva la situazione, quanto meno era informato sui fatti, oltre a regalare al lettore uno sguardo su chi fosse Carlo Monni giù dal palcoscenico e non sotto la luce dei riflettori o l’obiettivo di una telecamera. Uno sguardo dato con gli occhi di chi con Carlo, attraverso il lavoro (Cantini era assessore al Comune di San Miniato, e da quei tempi parte praticamente la storia di questo libercolo), è riuscito a diventare amico.

Quello che ne esce fuori è il simpaticamente nostalgico ritratto di un uomo diritto, rustico, fiero dei suoi principi contadini e, soprattutto, libero. Libero, scanzonato e volgarmente intelligente, perché il Monni non è solo Bozzone che mostra il “disco volante” ad Alida Valli, o Gino che si sente preso “per il culo” dalle istruzioni del puntale per l’albero di Natale. Monni è poesia, è volgo, è Campana e Caldarelli, è il Falstaff, è Prevert, è Altamante Logli e i suoi versi in ottava rima. Carlo Monni è come l’ellera: dove s’attacca mòre, così così il nostro cuore, ci s’è attaccato a lui. I’Monni rivive nel libro di Cantini come tutti ce lo ricordavamo: trivialmente e finemente libero e intelligente. C’è poco da dire Carlo, quando nascesti te, nacque un bel fiore…

 

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