
Firenze – Chi non ha letto Tom Jones di Henry Fielding, il Gulliver di Jonathan Swift o il Robinson Crusoe di William Defoe? Qualche lettore più avveduto si ricorderà anche che, nella seconda metà del secolo scorso si scoprì che il Tristram Shandy di Laurence Sterne, conosciuto sui banchi scolastici perché il suo Sentimental Journey fu tradotto da Ugo Foscolo, è un capolavoro che ha anticipato la modernità.
Insieme alle poesie dei grandi poeti del romanticismo inglese queste opere fanno parte del nostro bagaglio culturale. Ci hanno accompagnato fin da ragazzi nella nostra educazione sentimentale. Pochissimi, però, se si escludono letterati e insegnanti, conoscono il contesto nel quale gli autori lavorarono, le polemiche, le condanne che subirono da parte della critica o dell’accademia, i processi delle composizioni creative.
Franco Marucci, che ha insegnato letteratura inglese a Siena, Firenze e Venezia offre agli studiosi e agli appassionati uno strumento essenziale per chi vuole approfondire tutto ciò che vorremmo sapere su quel patrimonio dell’umanità che è la letteratura inglese. In queste settimane è uscito il volume secondo della Storia della letteratura inglese (dal 1625 al 1832 – dai metafisici ai romantici) pubblicato da Le Lettere, che completa un’opera in 5 volumi per 8 tomi per un totale di quasi 7000 pagine che parte dalle origini e arriva fino all’anno 2000.
Si tratta di un grande lavoro di ricostruzione e approfondimento paragonabile a un altro grande classico della storiografia letteraria, quella della letteratura tedesca di Ladislao Mittner, ed è il più ampio manuale oggi esistente in commercio che colma un vuoto negli studi inglesi in Italia. Il suo valore scientifico è confermato dal fatto che un editore inglese (Peter Lang, Oxford) ha deciso di tradurlo e di offrirlo all’attenzione e all’apprezzamento dei titolari dell’eredità dei grandi scrittori e poeti delle isole britanniche.
La struttura scelta da Marucci ne fa un prezioso manuale da consultazione. Ogni volume si apre con un’introduzione generale che tocca le questioni storiche, estetiche, ideologiche e contestuali del periodo in questione. Ogni autore, introdotto secondo la cronologia, viene trattato con una presentazione che riporta anche l’evoluzione della critica fino ai nostri giorni, la biografia e l’analisi di ogni singola opera.
Apriamo per esempio le pagine dedicate a John Milton, artista “partorito” dalla guerra civile tra parlamentaristi, presbiteriani e antimonarchici da un lato e pro-monarchici dall’altro. Il suo capolavoro, il Paradise Lost, è riaffrontato a fondo nelle sue premesse contestuali e nelle sue profonde ambiguità teologiche e politiche: “Non si poteva diventare, e voler diventare a metà Seicento, il più grande poeta inglese di tutti i tempi, mantenendo poi intatta nei secoli questa quotazione (sebbene – segnatamente – con la parentesi del primo Novecento) – così Marucci apre il paragrafo a lui dedicato – senza un saltus di professionalità e di progettualità”. E ancora su Milton: “La sua carriera potrebbe essere sintetizzata, come quella di Joyce, come la ricerca di una lingua e di un idioletto adeguato: la ricerca di uno stile”.
Due generazioni dopo ecco Alexander Pope bistrattato dalla critica romantica, che rimane “uno dei più formidabili maestri della forma poetica di tutti i tempi e in tutte le letterature”. Non è un creatore di nuove idee ma le esprime meglio di tutti. Curiosando fra i minori del primo settecento, John Gay è collocato stabilmente nell’immaginario di ogni europeo, perché è l’autore di The Beggar’s Opera, Singspiel all’inglese, che ebbe un trionfale revival nel 1920 a Londra e fu rifatta da Bertolt Brecht nell’Opera da tre soldi.
Si arriva così al romanzo con Defoe e i suoi rapidi sviluppi in una rosa di proposte multiformi di prodigiosa differenza e divergenza reciproca, con Swift, Richardson, Fielding, Smollett e Sterne. “Tom Jones – scrive l’autore è in fondo fra i pochi romanzi inglesi della ‘grande tradizione’ ad essere noti al grosso pubblico fuori dai suoi confini geografici d’appartenenza”.
E avanti. Capirete per esempio perché il dottor Johnson, Samuel Johnson, è uno dei letterati, critici e scrittori, più citati nel mondo della cultura alta delle università britanniche. Vi imbatterete nell’invenzione del romanzo gotico che ebbe in Horace Walpole l’indiscusso capostipite e in quella grande figura che ha conquistato i media internazionali di oggi quasi a farne una icona pop: “Discuteremo quando verrà il momento se Walter Scott sia il padre del romanzo ottocentesco inglese: Jane Austen (1775-1817) è comunque la madre e un po’ essa stessa il suo padre e nel preciso senso che precede e lega a sé tanto le romanziere inglesi di qualche decennio dopo, quanto i romanzieri. Lo fa dando anzitutto la sua primitiva versione di una coscienza storica femminile assetata di autentico”.
Jane Austen apre il capitolo sul romanticismo imperniato sulle sue notissime figure di Blake, Wordsworth, Coleridge, Shelley, Keats, Byron. Un romanticismo espressamente inglese distinto da quello continentale. Se ne avvistano gli antesignani e se ne discutono a fondo i protagonisti e infine gli epigoni, saggisti che in larga parte abbassano il Romanticismo «alto» nel Biedermeier.