
Firenze – Di solito un compendio storico riguardante un’arte, un settore o una disciplina si consulta, si utilizza per capitoli o per rinfrescare un contesto, un’opera o un personaggio.
Non è sempre un approccio consigliabile. A volte conviene raccomandare una lettura consecutiva e integrale perché si possono avere delle sorprese. Letto come se fosse un romanzo, il libro sprigiona idee e conoscenze che prima la parcellizzazione temporale e l’uso funzionale (per questo oggi basta e avanza Google) tenevano nascoste.
E’ un’esperienza che si può fare con “Storia della Danza e del Balletto” elegante prodotto editoriale di Gremese, casa che dal 1984 si è posta la missione di sviluppare e tenere viva in Italia la cultura della danza, così compressa in un paese che non sa riconoscere le sue eccellenze artistiche.
Il problema lo mette bene in evidenza Alessandro Pontremoli che, insieme a Ornella Di Tondo e Flavia Pappacena, ha realizzato il volume. “I nostri coreografi e danzatori vivono, dal dopoguerra, in un clima ostile, non possono accedere alle risorse e non hanno di fronte neppure un adeguato panorama didattico”, scrive Pontremoli, docente a Torino di discipline dello spettacolo, a proposito del balletto in Italia nella seconda metà del secolo scorso.
Pensiamo solo al fatto che il Maggio fiorentino, che fu uno dei punti di riferimento internazionale per la danza (pensiamo alle creazioni di Aurel Milloss) , ora non ha più un suo corpo di ballo e il suo ultimo direttore Francesco Ventriglia se ne è andato prima in Nuova Zelanda e poi in Uruguay. Come meravigliarsi poi che alla prima dello spettacolo della Martha Graham Dance Company, lo scorso giugno, la Pergola fosse semivuota?
L’obiettivo del volume di 440 pagine, corredato con una grande quantità di immagini belle e suggestive e un’ampia documentazione originale, è appunto quello di colmare una lacuna editoriale, nella prospettiva che possa essere un utile strumento per avvicinarsi all’arte coreutica.
I tre autori si sono divisi i compiti secondo le rispettive ricerche e competenze, ma di fatto hanno lavorato insieme perché questa Storia della danza avesse un’assoluta coerenza di contenuti e omogeneità di stile.
Per questo funziona il consiglio dato all’inizio: leggere il volume capitolo per capitolo, dalla danza nell’antichità, a quella in epoca medievale, fino ad arrivare attraverso la nascita del balletto di corte, la fondazione dell’Académie Royale de Danse, l’età delle grandi trasformazioni, fino alla danza moderna e a quella dei nostri giorni.
I meno esperti raggiungono così una vera percezione della particolarità dell’arte di comunicare attraverso il corpo. La danza esiste in quanto rappresentazione individuale di fronte a un pubblico di altri danzatori e di spettatori in un particolare momento del tempo e dello spazio.
Come per tutte le altre arti in Occidente la sua evoluzione nel corso dei secoli ha seguito le trasformazioni nei sistemi sociali ed economici, quindi anche nel patrimonio comune di valori e sensibilità. Con l’alternanza di accento sulla narrazione o sulla tecnica, sull’espressione dei sentimenti interiori o sul formalismo estetico. Procedendo grazie all’eterno conflitto fra accademia e riformatori.
Fino ad arrivare al terzo millennio: “La danza del presente può essere compresa se messa in relazione con tutti i meccanismi contemporanei della produzione di senso e agli universi discorsivi dei prodotti culturali come sfondo di riferimento sul quale è bene cominciare a contestualizzare anche la danza come un campo emergente di nuove conoscenze”, scrive Pontremoli.
La potenza e la duttilità delle tecnologie multimediali hanno reso la danza meno effimera, meno legata al momento in cui si realizza, ma immediatamente fruibile e trasmissibile. E, tuttavia, a differenza delle altri arti, questa richiede la presenza di altri esseri umani che partecipano con sentimenti ed emozioni all’universo emotivo ed espressivo del danzatore, anche se “appaiono sempre più labili i confini fra un’arte concepita in termini tradizionali, e che potremmo definire museale o archivistica, e un’arte performativa a tutto tondo”. Resta però vera la convinzione di Noverre, uno dei grandi fondatori: “Il gesto è come una freccia che va diritta al cuore dello spettatore” (1760).
Una seconda riflessione riguarda il ruolo dei maestri. Essi mettono a disposizione dei loro allievi una tecnica come nella pittura o nella scultura in base alle loro convinzioni estetiche con l’aggiunta di ciò che scaturisce dall’incontro fra due individualità. Tuttavia il fondatore di una scuola di danza non solo insegna a controllare energia e movimento indirizzandoli verso la creazione artistica, ma trasmette anche una disciplina psicologica e morale e il sistema di comportamenti che da essa derivano.
Fin dal suo inizio la danza è stata “un metodo razionale di educazione fisica e motoria”, del gusto e della relazioni fra i due sessi, che rende la danza una pratica per tutti, di qualunque età, sesso e condizione sociale. Una delle più feconde tendenze dei maestri di oggi è rendere il pubblico diffuso, uomini e donne, consapevoli della creazione artistica al di là delle potenzialità fisiche del loro corpo. Sono in questa direzione, per esempio, le esperienze che Virgilio Sieni realizza nella sua Accademia del gesto di Firenze.
La cultura della danza come arte così rinasce dal basso. Se pensiamo a un futuro di intelligenza artificiale e di robot che dipingono e di immagini digitali, la danza rimarrà il fondamento per la costruzione di interiorità e di coscienza del senso e del valore dell’esistenza.