
Firenze – “Voi credete ai fantasmi? No, ma ne ho paura”, rispondeva Madame Du Deffand, una delle grandi donne dell’Illuminismo. A quella domanda probabilmente Elena Giannarelli, già docente di Letteratura cristiana antica presso l’Università di Firenze, studiosa di tradizioni fiorentine, risponderebbe esattamente il contrario: “Ci credo, ma non ne ho paura”.
Questa è almeno l’impressione che se ne ricava dalla lettura del suo ultimo libro “Non è vero … ma ci credo – Spettri a Firenze” appena uscito in libreria per i tipi della Società Editrice Fiorentina. Sarà perché i fantasmi fiorentini non fanno tanta paura: sono discreti e solitari, molto concentrati su se stessi, molesti solo se il vivente disturba il loro eterno rimuginare. Non sono dunque le presenze inquietanti, spesso terrificanti, sempre arcigne e malevoli delle ghost stories anglosassoni.
La natura sostanzialmente inoffensiva degli spettri fiorentini, a meno che non incontrino persone particolarmente impressionabili, deriva molto probabilmente dal loro rango nobiliare se non per genealogia, certo per cultura. E’ documentata, addirittura dal collega San Zanobi, l’ombra di Sant’Ambrogio in San Lorenzo, mentre il fantasma più antico del Ponte Vecchio, inatteso luogo di ritrovo di viaggiatori dall’aldilà, è quello di Alighiero di Bellincione, il padre di Dante, personaggio quanto meno chiacchierato come speculatore e usuraio: “Dopo secoli Alighiero continua ad apparire: è un’ombra pallida che si muove velocemente, a volte corre, sul selciato del Ponte Vecchio. C’è chi dice che abbia in mano una corda con un nodo, il nodo Salomone, inestricabile”, racconta la studiosa.
Sarebbe di grande aiuto per la popolarità delle manifestazioni per i 700 anni della morte, che si potesse documentare qualche opportuna apparizione del Divino Poeta, ma nel discutere “la tormentata questione del fantasma di Dante”, l’autrice conclude che l’Alighieri pubblicamente non appare. Ci sono testimonianze (attendibili il giusto quando si parla di questo genere esperienze) secondo le quali “esisterebbe un fantasma del poeta sommo che appare ai singoli e che sempre agisce in relazione alla presenza delle sue scritture”.
Le storie sono raccontate con leggerezza, intelligenza e felice ironia, anche perché il libro di Elena Giannarelli non è un repertorio di storie paranormali e metafisiche, scritte con l’obiettivo di colpire l’immaginazione, ma si rivela un “Tesoretto” inesauribile di vicende, tradizioni, eventi legati alla splendida storia di Firenze.
Per realizzarlo oltre a consultare le opere dei grandi storici fiorentini di tutti i tempi (da Dino Compagni a Piero Bargellini) l’autrice ha recuperato “antiche narrazioni, sentite dalla viva voce di testimoni affidabili, prima che una cappa di silenzio cada su un aspetto interessante della nostra cultura popolare”.
Così Elena ci fa conoscere tutta una serie di personaggi che rappresentano il cuore pulsante di questa città, cominciando dai nonni, Margherita e Luigi, che le hanno fatto scoprire “una lunga catena di affabulatrici”. Come sister Julia Bolton Holloway, custode del Cimitero degli Inglesi, una di quelle donne che, nel corso dei secoli, hanno cercato maniere nuove per realizzare una vita di carità e preghiera”.
È stata sister Julia a raccontarle la storia del fantasma di Lord Byron che si aggira nel camposanto, smentendo la falsa credenza che il poeta inglese sia lì sepolto: la sua occasionale presenza è dovuta alla amicizia che nutriva per Demetrio Corgialegno conosciuto nella sua incursione romantica e libertaria in Grecia.
Ci sono episodi legati a presunti (poi smascherati) spettri fiorentini come quello che vede per protagonista un altro grande poeta, Giacomo Leopardi. Nei Pensieri riporta “una storiella” della sua permanenza fiorentina accaduta in via Buia che all’epoca era la parte iniziale di via dell’Oriuolo da piazza del Duomo. In una stanza oscura dietro una finestra un’ombra sembrava fosse una donna vestita di nero che muoveva le braccia: “Ih, la fantasima”, gridava la gente che si era fermata a osservare la strana apparizione.
Fu il suo amico Antonio Ranieri a svelare l’arcano: erano un grembiule e una rocca da filare lasciati su una sedia in una stanza tormentata dagli spifferi. Leopardi commenta che anche nella città “più culta “ d’Italia si crede agli spiriti, ma non ridano gli stranieri “perché troppo è noto che nessuna delle tre grandi nazioni che come dicono i giornali sono alla testa della civilizzazione crede agli spiriti meno dell’italiana”.
L’autrice ne approfitta per chiedere l’assoluzione del poeta per il suo libro “che intende essere un inventario di leggende e storie, giocato sulla piacevolezza del racconto, allo scopo di offrire un ‘isvagamento’ al lettore, provato dalla peste inattesa del coronavirus e costretto a rivedere il suo stile di vita”.
Uno svago che ha tutte le premesse per essere ben accolto. Provate a capitare per caso in uno dei teatri dove Elena Giannarelli tiene corsi di storia di Firenze per l’Università dell’Età libera: centinaia di studenti più o meno agé riuniti per ascoltare i suoi racconti con il gusto della descrizione e del particolare, della psicologia dei personaggi e di tutto ciò che di appassionante offre l’eterna lotta tra bene e male, tanto più in una comunità così sofisticata e intelligente. Il libro è dedicato soprattutto a loro, innamorati della loro città.