
Rispondiamo al Lettore di “Permette un ballo” che con la sua lettera pubblicata il 1 settembre ha lanciato una sfida ai tanghèri.
Parlare di Tango e proporre una serie di stereotipi sembra sia inevitabile. Tango uguale seduzione, rosa rossa in bocca, calze a rete e casquè: questo è ancora nell’immaginario collettivo, basta pensare alla pubblicità in cui Monica Bellucci – bellissima, ma assai improbabile tanghèra (e sembra pure munita di controfigura) – pubblicizzava lingerie.
A nulla sono serviti più di un secolo di storia e il riconoscimento come patrimonio dell’umanità, se continuiamo a parlarne affibbiando etichette. Perché il Tango – nato da una miscela culturale eccezionale – è ben altro. Sopra tutto, è musica, al contrario di molte altre danze.
Certo abbandonare i pregiudizi non è facile. A me è successo per caso, quando, andando alla ricerca di musica interessante, mi sono imbattuta nel Tango nuevo. I Gotan project, i Narcotango e i Bajofondo mi hanno aperto un mondo sconosciuto, pieno di mescolanze e contaminazioni. E poi – come in una sfida – ho voluto approfondire, ed andando a ritroso nel tempo ho scoperto Troilo, Pugliese, Gardel e tanti altri.
La capacità della musica Tango di evolversi ed aggiornarsi in modo così radicale mi ha colpito. E così – quasi per caso – mi sono posta la domanda fatidica: perché, dopo anni di Danze standard, non provare a ballare anche il Tango argentino?
La cosa, in verità, non è stata razionale, al contrario frutto di un desiderio nebuloso, pur nella consapevolezza che l’impresa che mi accingevo a compiere era ardua. La postura, il rapporto di coppia, l’informalità che contraddistinguono il Tango erano lontanissimi dalle mie tecniche di danza. E almeno nel periodo iniziale, mi sono sentita sdoppiata. Ma le sfide mi attraggono. Valeva la pena – mi sono di nuovo chiesta – di impegnarsi così tanto quando tutta la mia passione era rivolta alle Danze standard e alla loro componente sportiva? E dove andavano a finire l’impegno fisico, la preparazione atletica, il rispetto delle norme e delle codificazioni, e perché no, la parità nel rapporto di coppia?
La pulsione iniziale si è andata definendo via via, approfondendo la conoscenza del Tango che, a differenza di altri balli pur carichi di storia, è una vera e propria cultura che ti pervade e ti accoglie.
Nel frattempo sono migliorata, nel Tango intendo, anche se continuo ad accettare poco volentieri la sudditanza in cui alcuni tanghèri (non tutti e non i più bravi) cercano di confinare la donna. Non dovrebbe accadere, eppure accade, e spesso non viene lasciato spazio all’improvvisazione della dama e – in fondo – al gioco di coppia.
Il ruolo di geisha non fa per me, e la nostalgia per una conduzione precisa e pure così condivisa che contraddistingue le Danze standard rimane. In compenso nel Tango mi posso abbandonare “alla musica e al piacere del movimento”, perché è un ballo libero che nasce lì per lì su una musica e che pervade nel profondo il nostro corpo e la nostra mente. Certo, ci sono stili diversi e tecniche, posizioni e postura da controllare, ma il Tango, in fondo, ci vuole così come siamo. Nella nostra naturalezza e nelle interpretazioni personali, nell’improvvisazione, nell’intuizione che deve sviluppare la donna per seguire l’uomo in sequenze sempre diverse, nell’intesa che si crea nella coppia ballando in armonia con la musica, nella unicità insita in ogni Tango.
“Il Tango non è per oggi né per domani, né per una settimana o per un mese. Il Tango è per tutta la vita” ha detto Carlos Gavito. Senza però dimenticare il primo amore.
PS. Nel Tango argentino non esiste il casquè, lo dice anche la pubblicità!
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