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Quando il ballo ti cambia la vita

Per chi pensa che il ballo sia una forma d’arte nata per lo più da un’ispirazione colta, ecco che arrivano decine e decine di esperienze raccontate nel corso di quest’estate al New York times che ha lanciato un appello ai professionisti della danza invitandoli a spiegare i motivi delle loro scelte professionali: uomini e donne che hanno risposto entusiasti alla domanda What inspired you to work in dance?, con racconti che dimostrano quanto sia variegato e composito il mondo del ballo.
Molte delle storie apparse sul New York times, in verità, sono abbastanza scontate. C’è chi ha ricordato con nostalgia quando, accompagnata dalla madre, ha assistito per la prima volta al Lago dei cigni del Ballet Russe di Montecarlo al Chicago Opera house e scrive “Da allora in poi non c’è più stato niente se non la danza”.
Talvolta la scintilla è nata nel quotidiano, è meno colta ma non per questo meno efficace. Mia cugina era una ragazza pon pon – scrive Aubrey – e un giorno mi insegnò il suo programma. Pare che la cosa sia stata così divertente da spingere Aubrey – oggi direttore della danza e del teatro musicale della Harlem school fo arts – per sempre tra le braccia di Tersicore.
Per chi – come lei – ringrazia ancora il pon pon che ha segnato per sempre la sua vita, c’è chi, come Hollis, che scrive “il mio desiderio di continuare [a danzare] è una fame insaziabile”.
Tutte persone segnate da comunque un evento che ha inequivocabilmente indicato una strada da intraprendere, seguita talvolta dalla fama e dalla celebrità. “Da allora ho dedicato la mia vita alla danza” è la frase che ricorre più spesso, ma non è detto che valga solo per i ballerini professionisti e c’è chi ha scelto di usare il ballo per realizzare altri obiettivi.
Torkom è una cantante bulgara approdata a New York nel 2011. Per mantenersi, comincia a lavorare in un negozio di abbigliamento femminile che ha una clientela musulmana. I suoi colleghi ascoltano in continuazione musica orientale sulle cui note, quasi per scherzo, lei comincia a ballare. Da lì, comincia a prendere lezioni di danza orientale per poi fondare un’organizzazione che lavora in Medio Oriente e in Nord Africa e realizza progetti per educare la popolazione sul ruolo della danza nella diplomazia culturale.
Ariane Dolfus è invece una giornalista francese.  Sono cresciuta a Parigi in una famiglia borghese in cui era impossibile pensare di diventare una ballerina professionista, ha scritto. Poi a dieci anni mi hanno regalato il libro The Nureyev image che ho imparato a memoria e a dodici ho visto Nureyev danzare in Romeo e Giulietta. E’ stato allora che ho deciso che anche io avrei scritto un libro su di lui. Quando anni dopo sono entrata nella redazione di France Soir come critico di danza, ho avuto l’opportunità di intervistare molte volte il grande ballerino russo finché, nel 2007, ho pubblicato la biografia Noureev l’insoumis, coronando, finalmente, il desiderio della mia infanzia.
Ma c’è anche chi ha scoperto nel ballo il mezzo per uscire dagli abusi fisici. E’ il racconto di una donna che dopo aver abbandonato un marito violento, comincia ad ascoltare una voce interiore che le dice “you can, you are”. Scrive un musical sulla presa di coscienza della sessualità femminile e inizia a ballare “per liberare le storie che il nostro corpo ha dentro e manifestare la voglia di crearsi una nuova realtà”.
Storie semplici, talvolta anche un po’ tristi e coinvolgenti, che spesso segnano quasi l’inizio di un’altra vita. “A 36 anni – scrive Melissa – finalmente, sono veramente io. Ho fondato una scuola di ballo, così altri possono scoprire sé stessi attraverso la danza”.

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