
Sembra un’iperbole. Poeti, filosofi e cantautori ci hanno detto, nei modi più disparati, che non si muore per amore, ma in Pakistan può accadere per meno: per aver ballato. Grazie ad internet la notizia ha fatto in pochi giorni il giro del mondo, lasciando tutti sconcertati.
In un villaggio situato nell'area di Banco Baidar, remota provincia del Pakistan settentrionale, sette uomini e donne sono stati condannati a morte dalla locale jirga (consiglio degli anziani) per aver ballato e cantato a una festa di matrimonio e, come aggravante, essere stati ripresi in un video. Nelle scene del filmato si vede il gruppo dei sette durante la festa di nozze: le donne, sedute per terra, cantano battendo le mani mentre un giovane uomo danza davanti a loro.
Il video, rapidamente diffuso, ha suscitato un grosso clamore e indotto la Corte Suprema pachistana ad aprire un'inchiesta sulla decisione della jirga che ha punito con la pena capitale i responsabili dello scandalo con l’accusa di “fornicazione”, avendo violato le rigide norme di condotta pashtun che non prevedono alcun contatto tra i sessi in occasioni di intrattenimenti pubblici.
I media locali hanno spiegato che l'inchiesta della Corte è stata aperta perché il video sarebbe un falso, girato da membri di un'altra tribù per diffamare quella dei condannati che invece ballavano separatamente, rispettando le consuetudini religiose.
Per alcuni giornali i condannati non sarebbero ancora stati giustiziati, altri danno invece le donne come già morte, sebbene la notizia sia stata smentita dalle autorità locali. In ogni caso la polizia ha denunciato due fratelli della comunità Ghul per aver filmato la scena e averla pubblicata su internet.
Il Pakistan è uno di quegli stati in cui il sistema giudiziario prevede la pena di morte, tramite impiccagione o lapidazione, per alcuni reati come l’omicidio premeditato, la rapina, il dirottamento aereo, il traffico di armi e di droga e lo stupro di gruppo. Ma anche per circostanze previste dalla Sharia, come i rapporti sessuali extraconiugali e la blasfemia.
A questo punto non sappiamo con certezza se l’esecuzione sia avvenuta; l’auspicio è che la giustizia statale sia intervenuta in tempo a fermare uno scempio. Forse non avremo mai certezza della morte delle sette persone: rimane tuttavia l’evidenza di un “caso giudiziario” che a noi occidentali appare non solo profondamente ingiusto, ma assurdo e incredibile.
Eppure, ovviamente con le debite differenze e senza il fanatismo, la violenza e l’eccesso che contraddistingue il caso pakistano, non sono poi così lontani gli anni in cui esisteva “preoccupazione da parte del potere costituito nei confronti di un’abitudine che può creare pericoli, sia sotto l’aspetto morale che politico”. E’ quanto scrive Anna Tonelli, professore dell’Università di Urbino nel suo E ballando ballando, in cui guarda la storia sociale della danza come cartina di tornasole per toccare i momenti essenziali dell’evolversi della mentalità del nostro paese.
E così se nell'omonimo, o quasi, film di Ettore Scola, mezzo secolo di storia scorre all’interno della stessa sala da ballo, nei centocinquanta anni analizzati dalla Tonelli si avvicendano, attraverso la danza, l’etica e i rapporti di classe, la storia del costume e dei mezzi di comunicazione. “Il ballo come segno della memoria e indice del cambiamento”, fino ai giorni nostri in cui anche la politica lo ha utilizzato come elemento di consenso.
“Sarà la danza – scrive citando Vuillier – a fornire ai secoli venturi i migliori elementi per giudicare la nostra civilità”. Quella danza che oggi, non solo per il tempo di un ballo, può cancellare differenze sociali, culturali e religiose.
Foto: http://www.asianews.it/