Il nostro blog ha ricevuto questa lettera:
C’è un grande paradosso nella storia del ballo di coppia. Il valzer delle corti imperiali o quello delle feste dell’alta borghesia anglosassone da tempo è un pilastro della cultura popolare, delle balere e delle sagre di paese. Il tango argentino, invece, nato nei bassifondi più canaglieschi del rio de la Plata, espressione di emarginazione e infelicità, da tempo è diventato il ballo della borghesia urbana ricca e intellettuale. Così è inevitabile che a causa di questa identificazione in un pop basso e in un cult alto è difficile che i due gruppi possano simpatizzare e sentirsi uniti nel nome della musa della danza. Gli uni si sentiranno offesi perché gli altri non solo considerano il tango l’unica pratica di passi e figure concepibile, ma addirittura, se ti sono amici, non riusciranno mai neppure a memorizzare il fatto che esistano un fox, un valzer, un quickstep.
La diffidenza è, come sempre accade, reciproca. Neanche a me va di provare simpatia per gli amanti degli ochos e dei cortè perché sono convinto che la danza come espressione fisica, artistica e spirituale dell’uomo sia quella dei balli cosiddetti standard e di quella dei loro confratelli latini. Provate un giorno a fare questo esperimento. Mettetevi alla porta di ingresso della sala da ballo di una scuola di standard e, subito dopo, appostatevi di fronte a quella di una scuola di tango. Gli allievi della prima scuola che usciranno al termine di una lezione saranno eccitati, sudati, ancora impregnati dell’energia che hanno scaricato durante i loro esercizi. Mentre gli amici del tango argentino vi appariranno freschi e tranquilli come se avessero appena terminato una partita di burraco. I primi dovranno farsi una doccia e cambiarsi mentre i secondi sono pronti per qualunque impegno sociale, anche se dovessero andare alla festa di matrimonio del principe di Galles.
Per saperne di più, adesso, mettetevi al margine della pista dopo avere chiesto l’autorizzazione al maestro che sta facendo lezione. Sarà ben difficile che riusciate a vedere una coreografia intera durante una lezione di standard. Il ballo viene continuamente interrotto, ogni passo richiede prove su prove, la tecnica deve essere continuamente messa a punto e nessuno mai pensa di aver raggiunto la perfezione. La concentrazione e la disciplina sono le qualità principali di un ballerino, che non può permettersi iniziative o interpretazioni personali della musica: il ballo riesce solo se la postura e la dinamica del passo studiate e ristudiate permettono alla coppia di diventare un unico corpo che si muove armonicamente, sfidando le leggi della gravità.
Ora fate la stessa cosa e andate a sedere a un tavolino simil taverna platense di una scuola di tango. Vedrete certo uno studio appassionato delle figure dai nomi belli ed esotici, ma, se si escludono alcuni fondamentali, tutto è lasciato alla fantasia combinatoria della coppia, all’improvvisazione del partner maschile il cui compito è quello di far girare la partner femminile come una patetica figurina da carillon. Così l’effetto è quello di una sostanziale asimmetria: mentre l’uomo fa da perno, la donna si muove come una felice banderuola. Certo l’uomo la guida e le dà le indicazioni che ritiene più opportune, ma i due non hanno quell’unità meravigliosa rappresentata da corpi che utilizzano il meglio della velocità, della tecnica del giro destro e sinistro, del procedere inebriante di un valzer viennese.
Qualche tanguero indignato mi risponderà certo per le rime, anzi io spero che qualcuno riesca a convincermi della bellezza e della preziosità artistica delle milonghe. Ma nessuno spero venga più a chiedermi: lei balla? E qual è la sua scuola di tango? Dando per scontato che l’unico ballo degno di essere ballato nelle civiltà urbane sia quello del casqué.
Firmato: Un lettore di Permette un ballo?