
Prato – Il 16 novembre il consigliere di Fratelli d’Italia Claudio Belgiorno presentò in consiglio comunale a Prato una mozione per chiedere che il crocifisso “simbolo di libertà, uguaglianza e tolleranza” venisse esposto anche negli uffici pubblici comunali, nei corridoi e nelle aule delle scuole, motivandola che non si trattava di affermare il principio di laicità dello Stato, « ma di rivendicare la nostra identità culturale».
Molto probabilmente quella di Belgiorno fu una richiesta nata a seguito di un acceso dibattito qualche giorno prima per i fatti di Hong Kong. Il consigliere cinese della lista civica del Sindaco di Prato, Marco Wong, infatti, durante una seduta consiliare aveva presentato un proprio ordine del giorno con il risultato di spaccare la maggioranza in Consiglio e di essere poi additato dal centrodestra pratese che ne chiese le dimissioni, «per aver dimostrato che più che essere un consigliere comunale della Repubblica Italiana, era uno che rispondeva alla Repubblica Popolare Cinese”.
Di qui la proposta di Belgiorno di ricordare a Wong e ai consiglieri della maggioranza, con la mozione, l’importanza dell’esposizione del Crocifisso nei luoghi pubblici per ribadire l’identità culturale dei Paesi di tradizione cattolica.
Pochi giorni dopo arrivò a sorpresa quella sul sì all’esposizione del Crocifisso della capogruppo della lista civica di Biffoni, la consigliera Rosanna Sciumbata perché a suo dire «tanti pratesi portano il nome degli apostoli e tante donne portano il nome della Madre di Gesù» oppure al suo posto, «in aula potrebbe essere esposto un quadro con la sua rappresentazione».
Ma non è finita qui perché il consigliere di Demos Massimo Carlesi ha protocollato poche ore fa una terza mozione sempre sul Crocifisso che parla anche delle persecuzioni dei cristiani del mondo. «Testimoniare il Crocifisso, simbolo di pace, solidarietà e tolleranza, fratellanza e giustizia, per tante donne e uomini nel mondo significa rischiare di perdere le libertà personali o la vita.»
Dunque a quanto pare neanche Prato si sottrae ai tempi duri delle «clericalate» che invadono il nostro Paese da un po’ di tempo a questa parte. Recentissime quelle di Salvini che ha urlato “giù le mani dal Natale” perché un preside di un paesino del Trevigiano ha vietato di fare il presepe nella sua scuola per non urtare la sensibilità dei bambini non cattolici e di Fabio Tuiach consigliere comunale di Trieste che si è mostrato palesemente offeso perché la Segre ha detto che Gesù era ebreo.
Insomma sembra che ai politici di oggi piaccia affrontare molto di più i temi della spirito piuttosto che quelli della carne,ma questo loro comune sentire è un vistoso disequilibrio perchè essi pare trascurino ciò per cui sono stati eletti ovvero adoperarsi per cercare soluzioni ai problemi dei cittadini.
Perché senza nulla togliere all’importanza del Crocifisso e di altri simboli cattolici va ricordato a costoro che essi sono innanzitutto religiosi, di pace, unione e non divisione. E sovviene quel«Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio»,la celeberrima frase detta da Gesù riportata nei vangeli,ovvero date a Cesare le cose, a Dio le persone; a Cesare oro e argento, a Dio l’uomo. Che è il messaggio più terreno e al tempo stesso divino lasciatoci in eredità dal Figlio dell’Uomo. Un pensiero illuminato di ben di duemila anni che vale la pena rispolverare per chi confonde ancora laicità e religiosità. Perché non sarà infatti la Croce su un muro a ricordare al cristiano come comportarsi perchè esso ce l’ha ben fissa in testa.
Se non comprendiamo questo, e se anzi c’è chi politicamente parlando vuole con argomentazioni pretestuose proporre il simbolo della passione e morte di Cristo ovunque, gli andrebbe detto che il suo modo di pensare non è forse molto dissimile da chi promosse ideologicamente le crociate in terra santa o dal missionario che in paesi lontani evangelizzò gli indigeni sottraendoli ai loro culti ancestrali.
Dunque alle mozioni presentate a Prato da tre diversi gruppi consiliari sul sì al Crocifisso, si potrebbe obiettare con quanto scritto dallo scrittore Hermann Hesse premio Nobel per la letteratura nel ’46, “tutte le religioni sono belle ed è indifferente avvicinarsi all’Eucarestia o andare in pellegrinaggio alla Mecca”, ma anche che il pieno e consapevole diritto alla laicità di un Paese comporta la sopravvivenza e la tutela stessa della religione e della democrazia.