
Firenze – Sulla presenza di amianto nelle tubature in Toscana, spiega la regione, siamo in una botte di ferro. Non bisogna creare allarmismi perché non ce ne sono i motivi. Ma la conferenza stampa dell’Autorità Idrica Toscana (AIT) di stamani a Palazzo Strozzi-Sacrati ha dato origine a riflessioni su un argomento che, negli ultimi tempi, era stato affrontato compiutamente soltanto dai comitati “No Amianto Publiacqua”, promotori di una petizione già arrivata a 2000 firme.
Alcuni pensano che proprio la petizione, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica, abbia reso necessaria una risposta istituzionale, soprattutto in mancanza di vincoli normativi che attestino un massimo consentito di presenza delle fibre di amianto. Ma se l’acqua è inquinata, come ha affermato il presidente Emilio Bonifazi, “dipende dalla qualità stessa dell’acqua”: un’acqua calcarea crea un rivestimento nei tubi che impedisce alle fibre di amianto di staccarsi. Un’acqua invece “aggressiva”, cioè scarsamente calcarea, può favorire maggiormente la presenza di materiali dannosi.
Se l’acqua è inquinata, quindi, è colpa dell’acqua stessa?
Se fosse così non ci sarebbe bisogno di prendere misure di precauzione a livello di condotte idriche. Invece in questo senso qualcosa si sta muovendo. Da gennaio l’AIT avvierà un piano di monitoraggio da effettuarsi a opera dell’ASL su trecento/quattrocento punti di prelievo. Queste analisi richiederanno alcuni mesi di tempo, dato che le uniche ASL con laboratori appropriati sono due: Lucca e Siena.
La novità è che l’AIT chiederà al Ministero dell’Ambiente di adottare una metodica coerente per tutto il territorio in modo da produrre analisi corrette, diversamente da come è avvenuto fino ad ora. I dati pubblicati sul sito dell’AIT tra l’altro risalgono agli anni novanta e presentano tutti gli elementi per una necessità di aggiornamento.
Un vincolo per la presenza di fibre nell’acqua non esiste in Italia. In conferenza stampa si è citato l’EPA, un ente americano che ne stabilisce il limite massimo di 7 milioni per litro. Invece una recente riunione del’AIT con l’Istituto Superiore della Sanità ha fatto emergere un vincolo ipotetico che si aggira intorno al milione di fibre per litro.
I dati toscani non superano queste soglie, ma ciò non vuol dire che il problema si possa ignorare. Anche perché gli effetti dell’amianto sulla salute si vedranno dopo decenni, quando potrebbe essere troppo tardi. Per questo la regione ha coinvolto l’Istituto per lo Studio e per la Prevenzione Oncologica (Ispo) che ha intenzione di studiare non solo l’acqua, ma anche le dinamiche di evaporazione e la presenza di amianto nell’aria. Si pensi a quando l’acqua raggiunge l’ebollizione in una cucina o quando viene usata per l’igiene personale o della casa.
Le condotte idriche in cemento-amianto sono state realizzate negli anni settanta (dal 92 in poi è scattato il divieto di utilizzo di questo materiale), quindi hanno già un’età per cui sarebbe necessaria la sostituzione: infatti è stato proprio Alessandro Mazzei, direttore generale dell’AIT, a spiegare che le tubature hanno una durata dai quaranta ai settant’anni. Quindi, a parte le prove rassicuranti dei dati tecnico-scientifici, prima o poi bisognerà spaccare le strade: questo costerà 300 euro al metro, senza contare le precauzioni che gli operai dovrebbero prendere, in caso di materiali dannosi.
Ma la Toscana sta agendo da pioniera, come ha ribadito l’assessore all’Ambiente Bramerini, anche se “la pubblica amministrazione ha bisogno di parametri chiari”. Il prossimo passo è ottenere questi parametri.
Ma non finisce così. Infatti, la conferenza stampa di stamani assume toni movimentati quando un’appartenente ai comitati organizzatori della Capmagna “no Amianto” entra nella sala distribuendo volantini contro Publiacqua. I militanti vengono invitati a uscire e aspettano fuori fino alla fine. Alle tre del pomeriggio incontrano l’AIT per un confronto. “Questo incontro è essenziale”, spiega Rita Biancalani del Comitato No Amianto, “anche perché noi molto spesso abbiamo fatto il lavoro dell’autorità stessa. Vorremmo un confronto più frequente, magari una volta al mese”.