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Allevamenti nella bufera, mangimi a prezzi record Economia

Il rischio c'è tutto: l'aumento del prezzo del cibo per gli animali che sfiora il 50% in più rispetto all'anno passato considerando la quantità che serve per riempire la mangiatoia di un grande erbivoro, rischia di dare un'ulteriore stangata a una storica fetta del Made in Italy e al contempo aumenta le possibilità di abbandoni. Fa scuola, in quest'ultimo senso, l'esperienza degli Stati Uniti, dove come racconta Coldiretti, si è giunti in seguito all'aumento dei prezzi dei mangimi, all'abbandono di circa 180mila cavalli.
Ma come mai aumentano i prezzi di ciò che viene posto in mangiatoia? Lo slancio verso l'alto, spiega  l'associazione di categoria, è dato dall'aumento vertiginoso dei componenti fondamentali dei cibi per animali, vale a dire del mais e della farina di soia. Un salto vertiginoso, che ha raggiunto valori da massimo storico nelle quotazioni da gennaio ad agosto: l'aumento del mais è andato oltre il 40 per cento e la farina di soia ha raggiunto quasi il 70 per cento di apprezzamento: il primo è passato da 196 a 276 euro a tonnellata, mentre la seconda è balzata da 335 a 566 euro a tonnellata, considerando i dati  della piazza di Milano.

Il problema si può apprezzare considernado la forbice che divide il prezzo dei componenti fondamentali della dieta animale con quello dei prodotti "derivati" tipo il latte. Dal momento che circa il 75 per cento della razione giornaliera di una mucca è composto proprio da soia e mais l’impatto di questi aumenti  è devastante per l'economia agricola: infatti, come sostiene Coldiretti, se si tiene conto che il prezzo del latte e derivati alla produzione riconosciuto agli allevatori si è ridotto del 9 per cento rispetto allo scorso anno (dati Ismea) ci si rende conto che la partita, per gli allevatori, diventa insostenibile.

Che fare? Prima di tutto, occorre rendersi conto velocemente che questo stato di cose mette a rischio non solo l'allevamento italiano, ma l'intera produzione derivata, come quella di salumi e latticini di tutti i generi. In secondo luogo, lo sforzo deve essere teso a una forte razionalizzazione delle risorse che sia in grado di contenere il calo di produzione e il consegunete aumento dei prezzi delle materie prime agricole da un lato, e la crisi generale con la sua ricaduta inevitabile di calo dei consumi dall'altro.
Razionalizzazione che, come  spiega il presidente della Coldiretti Sergio Marini, deve tendere a eliminare sprechi e inefficenze. Non solo: il presidente di Coldiretti auspica anche una battaglia culturale necessaria, " “allo stesso tempo oggi piu’ che mai serve uno sforzo di tutti per affermare tra la gente una nuova cultura del “giusto cibo al giusto prezzo”. Un bene comune finito il cibo dove quantità, qualità, sicurezza alimentare ed etica produttiva – conclude Marini – non sarebbero conciliabili con prezzi che non sostengono neanche i costi di produzione".

Fra le cause addotte per giustificare la crescita vertiginosa delle quotazioni (il mais ha superato abbondantemente gli 8 e la soia è ben sopra i 17 dollari per bushel al Chicago Board of trade) è stato il ridimensionamento dei raccolti mondiali del mais a 829.1 milioni di tonnellate a causa del crollo per la siccità nelle campagne che hanno colpito gli Stati Uniti, i Balcani e il mar Nero ma anche l’Europa dove la produzione stimata è di 58,1 milioni di tonnellate di mais per effetto del crollo in Italia (-30 per cento), Ungheria e Romania. E ciò aggrava la crisi italiana, dal momento che la nostra nazione importa l’80% della soia di cui necessita oltre a circa il 20 per cento del mais necessario.

Rincari che risentono non solo dela mutamento climatico, ma anche del cambiamento strutturale della società a livello mondiale. Dall'aumento della richiesta di carne dei Paesi ad innalzamento di reddito, all'aumento della richiesta mondiale generale per ragioni di crescita di popolazione,  all'accresciuta necessità dovuta ai biocarburanti, in realtà sarà molto difficile raggiungere quell'aumento produttivo che si calcola necessario per fare fronte alla domanda mondiale: un 60% di produzione agricola in più.

Non sembrano molto convinti di questa analisi i commercianti di granaglie, da cui si levano voci discordanti. "Non capisco, nonostante abbia cercato di studiare su quali basi si muovono, le ondate di rincari e cadute di prezzo cui sono sottoposti le materie prime agricole come grano, mais, soia – commenta un commerciante italiano – per quanto riguarda la mia esperienza, questi rincari o deprezzamenti sono imprevedibili, incomprensibili, e soprattutto non corrispondono alle calamità o alle criticità cui vanno strutturalmente incontro i raccolti. Sono talmente slegate, queste fluttuazioni, da quella che si potrebbe chiamare l'economia reale, che tutte le mattine è necessario chiedersi cosa accadrà, senza poter fare previsioni attendibili".

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