
Firenze – Un nuovo libro di Franco Ciarleglio “ Adagio con brio” (che fa seguito a Adagi ma non troppo pubblicato lo scorso anno) ci riporta tra i modi di dire toscani con 140 tra proverbi, detti, aforismi di cui esamina l’etimologia, le origini. Espressioni che hanno dato origine al nostro linguaggio quotidiano nelle sue forme più vivaci e colorite.
Ad esempio – ci dice l’autore – non tutti sanno che “stare freschi” nel senso di ritrovarsi nei guai, è un’espressione usata da Dante nella Divina Commedia. Sono molti i termini modi di dire che usiamo da secoli per colorire il linguaggio quotidiano – scrive Miriam Serni Casalini nell’introduzione – “rendendolo vivo”.
Ciarleglio appassionato di giostre, palii e tornei medievali, è un divulgatore di aneddoti, curiosità e leggende della storia ‘minore’ dell’antica Firenze e della Toscana. Nel 2001 ha pubblicato Lo struscio fiorentino, una guida di Firenze fuori dal circuito turistico di massa, più volte ristampata e tradotta in inglese; poi aggiornata con Il canto dei Bischeri e ampliata con Lo struscio toscano,( 2013). Suoi anche i romanzi Il segreto della priora e La mappa . In questo libro Ciarleglio illustrato da Cesare Serni ci spiega, ad esempio, che il detto “al nemico che fugge ponti d’oro” lo troviamo come indicazione di strategia militare presso gli antichi romani E che Cosa fatta capo ha fu coniato nelle lotte tra guelfi e ghibellini
Come ha notato Miriam Serni Casalini il nostro passato si salva in tanti modi scrittura, canzoni,usanze,stornelli e a,appunto, con proverbi, aforismi, termini dialettali. Ciareglio non si limita a spiegarne il significato ma analizza la genesi, l’etimologia, il rapporto tra l’aspetto realistico e quello metaforico (come quello del fiorentinissimo intercalare Ovvia ) portandoci dentro le vicende storiche, i fatti e le situazioni. E analizza parole di cui abbiamo perso il significato originario. Ad che vuol dire “fare a miccino”? E perché in Toscana si dice granata per scopa ?
Da dove nasce il termine “pettata” (salita faticosa,ripida), cos’era il “tirabaralla”? e perché la “midolla” si chiama così? Lasciamo ai lettori di questo gustoso libro il piacere di scoprirlo. La parlata toscana è estremamente ricca di queste frasi incisive, motti , battute e che caratterizzano l’ambiente cittadino fin dai tempi di Dante e del Boccaccio ma anche di proverbi e di massime altrattento salaci che caratterizzano il contesto rurale.
Per l’area pisana ho trovato nel Vocabolario butese di Massimo Paratali e Aurora Puccetti numerosi detti, nati in un mondo contadino ormai scomparso ma di cui tutti ci portiamo dentro le radici. Infatti, per la loro capacità di “fotografare” l’animo umano ci appaiono sempre attuali. Cito tra i molti (sono centinaia) Abbondanza fa ‘rroganza, che, nella statica società mezzadrile, ironizzava su chi si arricchiva e faceva pesare la nuova condizione sociale. Tant’è vero che chi è ccontento ‘un si tramuti esortava a sapersi accontentare e a non cercare quel cambiamento che spesso fa fare “il passo più lungo della gamba”. Ma poiché la saggezza popolare vede sempre il rovescio della medaglia ogni proverbio ha il suo contrario ed ecco,allora Chi non gioca non perde mai che esorta appunto a “mettersi in gioco” .
Prevalgono, comunque gli appelli a non spingersi troppo in là, del tipo chi va ‘r ballo e ‘un è ‘nvitato torna ‘ccasa e ‘un à ballato che ha il proprio reciproco in Chi ‘un vòr ballà alla festa ‘un ci ‘ndia e altre due espressioni della saggezza popolare che sembrano sempre attuali: A rubbà pogo si va in galera a rubbà tanto si fa carriera e, rivolto agli imbonitori di ogni tempo, chi s’à legge di latino loda l’acqua e bbeie ‘r vino .
Mentre “a ‘cchi piace ìr bé discorre sempre di vino“ fotografa con una metafora efficace l’incapacità di una visione equilibrata delle cose che porta alle monomanie. E, sempre per riportare l’equilibrio, c’ è l’arguto “cencio dice male di straccio” che esorta a guardare sé stessi prima di criticare gli altri.
Cito, infine, sempre dal vocabolario di Pratali-Puccetti, come esempi di un modo di parlare semplice ma incisivo “acquetta” per candeggina, alle fatte fine per “in conclusione” boccalone per bambino che piange molto e l’icastico chiéssino per bigotto.
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