
Comincia con questo primo articolo un percorso che condurrà i lettori di Stamp alla scoperta di una delle risorse-dati più interessanti degli ultimi anni, vale a dire i Big Data. Una miniera di informazioni personali che rileva in vari campi: oltre che in quello economico, anche in quello etico-giuridico, in termini, ad esempio, di tutela del diritto alla privacy o della sua (ancora reale?) sacralità etica. A condurci in questo intricato tema, Clemente Poccianti, laureato a Firenze alla Cesare Alfieri. Dopo un’esperienza di sei anni al Parlamento europeo come Assistente parlamentare e alla Commissione europea, ha lavorato a Roma e a Bruxelles per due società di relazioni istituzionali, come responsabile per l’area EU Public Affairs; è stato inoltre consulente esterno sempre per l’area European Public Affairs per conto di organizzazioni profit e no-profit.
Firenze – Le prime domande che qualsiasi cittadino che si trovi di fronte alla questione Big Data si pone sono: da un lato, perché i Big Data sono sempre più una realtà persistente della nostra vita quotidiana, dall’altro, di cosa si tratta esattamente.
In primis, se la domanda appare semplice, la risposta è senz’altro complessa, in tutti e due i casi. La prima riflessione che scaturisce non è certamente positiva: un dato di fatto è che, da un punto di vista della tutela della privacy individuale, possiamo considerarci tutti vulnerabili.
In primissima battuta, possiamo dunque senz’altro affermare che quello dei Big Data è un argomento estremamente attuale ma di cui ancora si conosce poco circa la portata sulla nostra vita quotidiana e non solo; portata che spesso invece resta superficiale e confusa, mentre cresce l’interesse dovuto al gran peso che stanno cominciando ad avere sulla vita di tutti noi. Peso crescente che solo di recente ha indotto i media ad iniziare ad occuparsi del tema.
Cosa sono – L’immensa giacenza di dati digitali che lasciamo in rete ogni giorno sono una miniera d’oro di informazioni sui nostri gusti, su quello che pensiamo, su quello che facciamo, sulle nostre azioni in generale. I computer prima, i devices mobile ora, ma prima ancora i telepass delle auto o i pagamenti con carta di credito, lasciano immense scie elettroniche che possono essere analizzate come dati da strutturare a seconda del risultato e dell’obiettivo che si vuole ottenere.
Sui Big Data lavorano aziende informatiche di qualsiasi grandezza, da multinazionali che operano su mercati globali a PMI più specializzate sul territorio e quindi più attente al locale. Si tratta di un mercato in forte in crescita sia da un punto di vista del fatturato che di nuovi posti di lavoro e in Italia la crescita, allo stato attuale è maggiore che in altri paesi europei, dovuto forse ad un gap di ritardo. Negli ultimi tempi gli addetti ai lavori, quasi sempre ingegneri informatici o della branca, esercitano un nuovo mestiere che va sotto il nome di Data Scientist; questi hanno sempre più un ruolo di importanza strategica, talmente importante che, forse, non ne hanno completa coscienza neppure loro.
La produzione dei dati che lasciamo in rete è aumentata di quasi dieci volte negli ultimi sette anni: realtà come Facebook, Google, Twitter sono detentori di grandissime quantità da cui si possono ricavare preziose informazioni.
A cosa servono – I Big Data offrono tutta una serie di opportunità per potere svolgere differenti attività di analisi. Soffermiamoci su una di queste, che è l’estrapolazione dei dati; porta i nome di Data Mining e ha diversi campi di applicazione. E’ utilizzato per estrarre dei dati dal web che possono essere in forma strutturata o destrutturata, i primi sono già pronti, tipo i database, i secondi sono sciolti e devono essere uniti assieme secondo una architettura prestabilita.
Un esempio pratico di utilizzo applicato al business è venire a conoscenza del gusto dei consumatori circa un determinato prodotto sui Social media con il numero dei like che vengono inviati, o anche l’analisi di un database di utenti che hanno visitato un website per vendite online. Si arriva a intercettare in modo sempre più dettagliato il profilo dell’utente: sesso, età, gusti, luogo, preferenze culturali.
Un altro utilizzo è l‘analisi “Predictive”. Ecco cosa si intende per “Predictive”: il riuscire a capire in anticipo gusti e tendenze prima di altri. Ovviamente, se parliamo di mercati, prima della concorrenza.
La “Sentiment Analysis”, è invece uno strumento di analisi che raccoglie e veicola le emozioni e le reazioni degli utenti sul web nei confronti di un evento. Un esempio? Cosa la gente ha pensato di Expo, oppure che opinione si è formata riguardo a un determinato fatto di politica nazionale o internazionale. Lo strumento viene utilizzato dalle testate editoriali per articoli di giornale online per conoscere la reazione del lettore in tempo reale.
Anche in campo sociologico è interessante notare che i Big Data possono essere uno strumento efficace per analizzare le relazioni sociali quindi le interazioni fra persone. I Social media rivestono anche in questo settore un ruolo fondamentale, perché creano gigantesche mappe interrelazionali più virtuali che fisiche. D’altro canto è altresì vero che le connessioni inizialmente virtuali si stanno trasformando in reali, andando a scardinare per la prima volta nella storia dell’uomo i vecchi rapporti fatti sul legami parentali, amicali e sul territorio.