
Firenze – Anno nuovo vita nuova, ma non per la casa. Continua l’emergenza, che tuttavia almeno a Firenze, assume nuovi profili. Tra i vecchi e ancora irrisolti, come spiega la segretaria del Sunia toscano Laura Grandi, uno è senz’altro quello della legalità nel settore degli affitti. Nonostante le migliorie che sono avvenute in questo campo, fra cui la possibilità per i proprietari di usufruire della cosiddetta “cedolare secca”, che consente un pagamento di imposta non cumulativo (si tratta di una scelta facoltativa del contribuente in sostituzione di tutte le altre forme di prelievo fiscale sul reddito di quelle specifiche locazioni), una chance salvata dalla legge di bilancio 2019 che la estende anche agli affitti commerciali che rispettino determinati requisiti, l’impressione, e qualcosa di più dell’impressione, è che una quota ancora alta delle locazioni fiorentine registri la pratica del cosiddetto “affitto al nero”. Una battaglia che, promette, il Sunia, sarà una delle priorità dell’anno appena cominciato. “In questo ambito – dice ancora Grandi – ci aspettiamo molto dal riconoscimento del ruolo di “controllo” affidato ai sindacati degli inquilini sui contratti. Basti dire che i casi che ci sono stati sottoposti in questo primo scorcio del 2019 erano tutti consulenze per contratti con affitti irregolari”. Insomma, il mercato delle locazioni non sembra disposto a rinunciare a quella che Grandi chiama “la sensazione dell’impunità”.
Ma il punto si sposta anche verso un’altra direzione, che riguarda la convivenza nei condomini degli appartamenti affittati a famiglie e residenti e quelli utilizzati per affitti turistici. “Ciò che chiediamo all’amministrazione centrale – spiega ancora Grandi – è un intervento sulla tassazione di questi ultimi, che non dovrebbero godere degli stessi benefici fiscali degli alloggi affittati per la residenza ordinaria”. Insomma, esclusione ad esempio della citata “cedolare secca” (che prevede il solo pagamento dell’aliquota del 10% sul canone concordato e del 21% sul canone libero) e invece tassazione parificata al reddito d’impresa, “riconoscendo così che si tratta di un “genere” diverso rispetto alla locazione tradizionale”.
E dalla Polis, società di servizi costituita per volontà del Sunia fiorentino e che si occupa anche delle autogestioni, arriva una notizia inquietante: infatti sembrano crescere, nei condomini dove si “mescolano” affitti turistici e tradizionali, i contenziosi condominiali. Del resto, bottiglie di birra sulle scale, entrate e uscite a tutte le ore, persino piccole festicciole negli androni testimoniano l’ovvio dato che diverso è l’abitare delle famiglie e diverso quello del turista. Non solo. Il rischio è che la città sia vissuta tutta come “esperienza di viaggio”, come si è reso evidente in un episodio che ha visto alcuni turisti scattare foto e fare video a una condomina di vecchio corso che si era sentita male sulle scale, compreso l’arrivo degli operatori del 118. Insomma la città rischia di diventare sempre più una sorta di grande set dove ambientare le proprie “avventurose” vacanze. La questione, ricorda la segretaria del Sunia, è ancora più impattante quando si pensi che “si calcola che adibito al turismo sia ormai, a Firenze, il 70% del patrimonio privato in affitto”.
Se questo rappresenta un problema che coinvolge anche considerazioni di carattere sociale, culturale e politico, oltreché economico, un altro lato della vicenda vede alla ribalta, nel nuovo anno, il social housing. “Vogliamo una conferma in questo particolare settore – dice Grandi – perché significa rendere accessibile e sostenibile l’accesso all’abitazione anche da parte di quelle famiglie che, per reddito, non possono accedere ai bandi”. Intanto, qualcosa sembra muoversi, come dimostrerebbe l’esempio del “Casone” in via Pistoiese. Si tratta di una ristrutturazione in corso in via Pistoiese per cui è prevista la realizzazione di 70 appartamenti in social housing. Si tratta di una sorta di collaborazione fra privato e pubblico: la ristrutturazione è affidata al privato, che gode di sgravi e agevolazioni, in cambio di una contrattazione sul canone. “Il calcolo al metro quadro di questi affitti si costituisce tramite accordi integrativi fra costruttori e sindacati degli inquilini – spiega Grandi – nel caso in questione, si potrebbe arrivare a canoni fra i 400 e i 500 euro”. Tanto? Una vittoria, in realtà, se si pensa alla media degli affitti cittadini, che per una famiglia arrivano tranquillamente a mille euro al mese. Insomma, il punto è avere “affitti veramente sociali, pur rimanendo realistici e senza inseguire l’edilizia pubblica”.
Per quanto riguarda i numeri, “siamo ancora al bando del 2017 e in attesa del prossimo, che dovrebbe aprirsi quest’anno”, in riguardo anche al fatto dell’entrata in vigore della nuova legge sulla casa approvata dalla Regione Toscana. Tornando alle cifre, nel Comune di Firenze gli alloggi di edilizia pubblica sono circa 8.100, nel Lode fiorentino si aggirano sui 13mila. Ma c’è da valutare quelli in ristrutturazione che sono ancora fermi, e, in un futuro che si spera prossimo, quelli “promessi”, di nuova edificazione. Tornando invece al bando, nel 2017 erano 2.400 le famiglie in attesa di abitazione. “Queste cifre tuttavia non danno il quadro completo della situazione – dice Grandi – in quanto non considerano che le famiglie col reddito al tetto dei 16mila euro. Il vero problema è che ormai, con i prezzi dei canoni del privato, anche un reddito cumulativo di 2mila euro al mese non mette in sicurezza le famiglie, dal momento che, il famoso canone a mille euro è tutt’altro che l’eccezione. Se su reddito famigliare di 2mila euro si toglie il 50%, la qualità di vita, le opportunità per i figli, tutto ciò che entra nel concetto di vita “dignitosa” viene a mancare. Di tutto questo dovrebbe essere consapevole il governo centrale, cui spetterebbe un vero e proprio “piano casa” che riconsideri le attuali realtà sociali in tutti i loro mutamenti”.
L’ombra dell’equo canone, è inutile negarlo, si proietta su quello che è sempre più un problema di ordine sociale, nonostante siano in molti a volerlo ricondurre esclusivamente a una questione di ordine pubblico. “Equo canone, perché no? – risponde Grandi – certo, non riprendendo tout court il vecchio sistema specchio di una società ormai mutata, ma riproponendo il principio dell’equo canone all’applicazione degli accordi territoriali, che si concludono fra sindacati dei proprietari e degli inquilini e definiscono il costo al metro quadro e la cornice generale”. Anche perché, conclude Grandi, “la sostenibilità degli affitti significa la sopravvivenza delle famiglie”.
Senza contare che all’orizzonte si profila, sempre più nitido, un altro grande problema sociale, che riguarderà i futuri pensionati. Col sistema contributivo infatti non solo si andrà sempre più in ritardo “a riposo”, ma le pensioni saranno più basse. “E sarà proprio la casa- dice Grandi – il primo bisogno inevaso degli anziani”. Insomma pensioni da fame e canoni alti, rischiano davvero di innescare una bomba sociale della cui portata ancora nessuno si è occupato. Senza contare, all’altra estremità, i giovani e gli stipendi da fame. Working poors da un lato e pensionati alla povertà dall’altro, rischiano davvero di strozzare la società italiana. “Altro che reddito di cittadinanza – conclude Grandi – è dalla casa e dalla sua sostenibilità che bisogna ripartire per ridare fiato alla società”.