
Grosseto – Dopo mesi di silenzio, la Costa Concordia torna a far parlare di sé. I giudici del Tribunale di Grosseto hanno reso note, infatti, le motivazioni della sentenza con la quale il capitano della nave naufragata il 13 gennaio 2012 all’isola del Giglio – Francesco Schettino – è stato condannato a 16 anni di carcere.
La scelta di Schettino di portare una nave grande come la Concordia così vicino alla costa, secondo i giudici maremmani, fu una scelta “criminale”. Il capitano di Meta di Sorrento è stato per questo additato dalla Corte di Grosseto come il principale responsabile della tragedia dell’isola del Giglio.
La nave, dal canto suo, sarebbe stata in perfette condizioni. Manutenzione secondo programma e sistemi d’emergenza controllati a puntino, secondo i giudici, scagionerebbero Costa Crociere. Fu l’aver portato sottocosta – troppo sottocosta – e ad un’elevata velocità la Concordia che provocò il disastro.
Insomma, si torna all’uomo solo contro tutti. Schettino, per i giudici, navigò deliberatamente a vista. Sapeva che gli scogli erano in agguato. Eppure decise di tentare l’azzardo. Lo fece confidando sulle sue abilità di marinaio e per accontentare il maitre Antonello Tievoli, facendo ammirare a lui e ad alcuni altri ospiti della plancia il panorama del Giglio da più (troppo di più) vicino.
Quella tragica notte, secondo la ricostruzione della Corte, in plancia c’era anche Domnica Cemortan. La stessa ragazza moldava con la quale il comandante stava cenando.
Ma la più grave accusa nei confronti di Schettino è quella di aver deliberatamente abbandonato la nave nonostante fosse consapevole che molte delle persone a bordo non avrebbero trovato scampo. Nel momento in cui lasciava la Concordia, Schettino sapeva che nessuna delle persone rimastevi intrappolate si sarebbe salvata. E il comandante non avrebbe mai vacillato nella sua intenzione di abbandonare la nave. Né avrebbe mai tentato di risalirvi.