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Conversazione su Carlo Cassola Cultura

Firenze – 30 novembre 2017 –  ore 17 – Conversazione su Carlo Cassola

Il 30 novembre alle ore 17.00 a Firenze, presso la Biblioteca delle Oblate, si è tenuta un’iniziativa su Carlo Cassola nel centenario della nascita, dal titolo Cassola, l’opera, che segue alla presentazione del libro di Angelo Gaccione su Cassola e il disarmo, tenutasi il 21 novembre scorso. Anche Firenze voleva ricordare il grande scrittore, cui sono state dedicate in questo anno le celebrazioni di Montecarlo di Lucca, cittadina dove ha vissuto negli ultimi anni e dove è sepolto (vedi programma). L’incontro del 30 è stato organizzato da Grazia Asta, responsabile del Coordinamento Biblioteche Comunali di Firenze, da Elisabetta Francioni, bibliotecaria presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, e da Arnaldo Bruni, già docente di Letteratura italiana presso l’Ateneo fiorentino.  La formula proposta è la stessa dei cinque incontri sullo scrittore Luciano Bianciardi, organizzati tra fine 2016 e inizio 2017, che piacque molto al pubblico perché integra e intramezza la presentazione di libri con letture e proiezione di film.

La produzione di Cassola è vastissima,: in questa occasione i curatori hanno dovuto obbligatoriamente selezionarne solo una piccola parte. Prima dei due interventi su Il soldatoLa ragazza di Bube, ci sarà la presentazione del catalogo della mostra di aperta nel settembre scorso a Montecarlo di Lucca, Sconfinamenti. Le terre lontane di Cassola curato da Alba Andreini, presidente del Comitato per le celebrazioni di Cassola.  Il catalogo è una testimonianza minuziosa e ampia della fortuna all’estero di Cassola. Della sua presenza all’estero poco si sapeva  in Italia, così come si ignoravano le precoci traduzioni dei suoi libri in Francia, Spagna e nei paesi dell’Est Europa: questa notorietà è documentata nella mostra dai ritagli di giornale e da altre testimonianze.

In preparazione di questo incontro, abbiamo rivolto una serie di domande al professor Bruni. Studiare Carlo Cassola è un’impresa semplice?

E’ sicuramente un impegno di grande soddisfazione, anche se uno dei problemi dell’approccio alla lettura di Cassola è costituito dalla sua produzione sterminata. Ha lavorato senza sosta dal 1937, quando era ancora a Roma, fino alla morte avvenuta nel gennaio del 1987, scrivendo, potrei dire a precipizio e in modo inarrestabile:  si dedicava contemporaneamente anche a più di un romanzo, tanto che qualche volta gli editori non riuscivano a tenergli dietro.

Tra l’altro, per anni, la sua attività non si è limitata alla sola scrittura, contemporaneamente insegnava al Liceo scientifico di Grosseto, città in cui io frequentavo il Classico. Ricordo qualche aneddoto relativo al suo impegno d’insegnante, raccontato dai miei amici, suoi scolari. I quali si divertivano a provocarlo continuamente, mettendolo in difficoltà, con domande su quanto aveva scritto e a cui non sapeva rispondere, evidentemente perché rimuoveva dalla memoria le pagine dei suoi libri.

Cassola quindi abbandonò l’insegnamento e si dedicò unicamente alla scrittura.

Sì, due anni dopo il successo della Ragazza di Bube – romanzo che nel 1961 era diventato un film diretto da Luigi Comencini – raggiunta l’indipendenza economica, decise di lasciare l’insegnamento. Cassola quindi ebbe una carriera eccezionalmente lunga, anche se attraversata da tante vicende che hanno influito sulla sua produzione, sia con il cambiamento della sua concezione letteraria sia perché i tempi  erano tali da suscitare situazioni conflittuali.

Si tratta di conflitti per le tematiche affrontate?

Un anno di svolta fu quello in cui nacque il “Gruppo 63”, movimento di avanguardia  che, pretendendo altro dalla letteratura e in rotta con la tradizione,  prese di mira sia lui sia Bassani. Indubbiamente Cassola procedeva per una strada distante e lontana da quella della letteratura del tempo, a cominciare dai primi racconti molto brevi.  I suoi personaggi sono figure umili e le sue storie, apparentemente prive di riferimenti a battaglie sociali, a vicende forti  e addirittura senza trama evidente, si prestavano facilmente allo sberleffo di chi guarda le cose con superficialità oppure con altra ottica.

Potrebbe dirci qualcosa sulla prima produzione e sulla peculiarità della narrativa di Cassola?

I suoi racconti si ispiravano sostanzialmente a James Joyce, in particolare a Gente di Dublino del 1914, pubblicato in Italia nel  1933.  Carlo Cassola e Manlio Cancogni, suo compagno di liceo, influenzati da questa lettura e da un altro romanzo di Joyce, Dedalus (1917),  scoprirono la loro “poetica del sublimine“, cioè quella disposizione che tende a scavare dentro le cose e a riconoscere il loro segreto, i “barlumi” di vita, insomma,  inseguiti anche da Eugenio Montale. Su questa base Cassola ha proceduto, con un’autonomia autentica, sviluppando un suo filone “altro” rispetto a quanto si scriveva  allora e negli anni successivi.

Forte di queste premesse, Cassola conserva sempre una sua reale cifra distintiva rispetto al neorealismo del dopoguerra, movimento che nella sua varia produzione dava conto delle vicende della guerra oppure proponeva  cronache di carattere realistico e documentario. Cassola  invece mira a restituire i sentimenti delle persone anche di bassa estrazione sociale e  la loro esperienza esistenziale. Più che ai modelli correnti, Cassola si rifà  alla scoperta degli umili, sulla traccia dei Promessi sposi di Manzoni. Rispetto a Manzoni tuttavia è evidente la sua volontà di dare loro la voce, la loro autentica parola popolana. Nei Promessi sposi è sempre presente, in prima persona, lo scrittore: il grande regista dei suoi personaggi.  Cassola invece cerca di restituire ai personaggi la loro visione del mondo. Di più, si sforza di riportare  nelle sue pagine la parola che i modesti protagonisti hanno nella realtà. In questo senso è esemplare Il taglio del bosco  del 1949, che è uno dei più bei racconti del ‘900. Nella vicenda  di Guglielmo, il tagliaboschi che è il personaggio principale, Cassola trasferisce  il suo dolore per la scomparsa della prima moglie, Rosa, morta a soli 31 anni.

Cassola, sin dall’inizio del  racconto, concepito prima della disgrazia, intendeva raccontare  proprio un taglio del bosco, attratto com’era  dalla vita semplice di questi tagliatori. Poi la vicenda  personale assunse un peso inaspettato e Cassola finì per riversare sul protagonista il suo trauma personale. La storia si svolge nel periodo antecedente alla Seconda Guerra Mondiale. Anche Guglielmo è vedovo come lo scrittore, e mi pare interessantissima la sua presentazione psicologica:  ha le caratteristiche dell’uomo del popolo, vedovo con due figlie,  chiuso nei suoi affetti,  non riesce a comunicare agli altri il suo tormento interiore  né è in grado di  esprimere il suo amore alle figlie, così come gli è impossibile mostrarlo alla sorella, che ha preso il posto della moglie. Di qui la difficoltà dei rapporti familiari, tanto che  Guglielmo riesce a vivere autenticamente solo l’esperienza di lavoro nel bosco, attraverso la quale cerca di dimenticare la sua croce.

Nel Taglio del bosco, quasi raccontando giorno per giorno i cinque mesi dedicati al lavoro, che si protrae da ottobre ai primi mesi dell’anno nuovo,  Cassola descrive, con grande incisività, l’esperienza di vita, gli interessi e le curiosità dei boscaioli, raffigurati nei loro tratti individuali. Fra loro c’è quello appassionato al lavoro, il novellatore, Francesco, che racconta storie immaginarie e fatti autobiografici, molto probabilmente inventati; c’è poi Amedeo, che ha ancora famiglia, invidiato segretamente da Guglielmo per gli affetti che ritrova tornando a casa, dove potrà riabbracciare la moglie e le figlie.

Non c’è dunque nessuna mitografia,  il personaggio è visto nella sua dimensione effettiva, con uno sforzo coerente di usare le parole che sono alla portata di Guglielmo. Questa ricerca è del tutto inedita per l’epoca e tipica di Cassola, non c’è un riscontro analogo. Certo, anche Pasolini racconta degli umili e potrebbe essere accostato legittimamente a Cassola,  per ragioni, nel suo caso, di tipo ideologico o religioso.

Abbiamo accennato all’influenza di Manzoni in Cassola

Nel caso di Cassola c’è questo tentativo, riuscito direi, di dare al personaggio questa configurazione. Si avverte chiaramente un’ascendenza manzoniana, quando, anche se con molta discrezione, si danno delle date che contribuiscono a predisporre la forma di un romanzo storico. Risulta che Guglielmo è nato nel 1898, trentottenne  nel 1937, con chiaro riferimento alla conclusione prossima della guerra civile spagnola e all’influenza che ebbe in Italia. Cassola mette in bocca al fattore, interlocutore di Guglielmo,  l’idea ingenua che, con la vittoria di Franco, l’Italia sarebbe stata in grado di dettare condizioni politiche all’Inghilterra e  alla Francia. Poi si leggono nel romanzo frasi riprese tal quali da Manzoni: per esempio, “non tirava un alito di vento”, che nei Promessi sposi  figura in conclusione del capitolo ottavo, in coincidenza del famoso addio ai monti di Renzo e Lucia.  In una lettera a Gaccione, pubblicata di recente nel libro Cassola e il disarmo. La letteratura non basta. Lettere a Gaccione, 1977-1984 (Lucca, Tra le righe libri, 2017),  scrive di quanto sia fondamentale per uno scrittore il rapporto con il proprio paesaggio, con il proprio territorio, con  le proprie radici. Non per caso  Manzoni – osserva Cassola – ambientò a Milano e in Lombardia il suo romanzo storicamente spostato nel ‘600. Allo stesso modo Cassola ambienta la sua narrazione tra Volterra e Cecina o in Maremma, territorio amato e conosciuto fin da ragazzo grazie alla madre che era volterrana.

Cassola matura così questa affezione profonda per il luogo perché è convinto che, in fondo,  la vicenda umana sia sempre uguale, come ebbe a dire in un’intervista:  “Cecina vale Parigi”.

Sono storie minimali, dunque.

Sì, Cassola indaga sentimenti elementari, attento com’era alla realtà provinciale; suscitava perciò facili polemiche da parte di chi riteneva che Cecina non potesse essere il centro del mondo.

Evidentemente era il suo centro del mondo, era il centro dei suoi affetti più profondi.

Il suo segno particolare è quello di avere dato voce a questa umanità minore e degradata  che fino a quel momento non aveva trovato un suo referente. Manzoni fa una scelta straordinaria: rende protagonisti un filatore di seta, che non sapeva leggere, e una contadina, ma lo scrittore rimane sempre saldamente alla regia:  è il narratore che si esprime con parole sue, non con quelle che avrebbero potuto usare  un filatore o una contadina. Invece Cassola  fa un’operazione opposta, cerca di dare a questi personaggi la voce che hanno nella realtà corrente e quindi con un’ottica dal basso, non dall’alto, intende ribaltare il punto di osservazione.

Capisco, lui si immedesima con i suoi personaggi. Diventa i suoi stessi personaggi.

Qualcosa di simile c’era stato con Verga, il tentativo di scomparire come autore, però il suo discorso era di carattere sociale, non esistenziale come quello di Cassola, che parla dell’esperienza di vita, intesa come riferimento individuale. Nei Malavoglia c’è la conversazione del paese ma compare solo di scorcio la profondità psicologica dei personaggi, esistenzialmente connotati. Cassola tenta di recuperare dall’interno l’esperienza segreta degli affetti, degli amori dei suoi personaggi.

Cambiamenti nella sua vita e cambiamenti della sua narrazione.

Da questo punto di vista è uno scrittore che ha lasciato un segno  profondo, poi è chiaro che successivamente sono subentrate altre istanze e ragioni meno persuasive, meno capaci di toccare in profondità. La linea forte, direi, che giunge fino a Paura e tristezza del 1970, romanzo lunghissimo, che narra la vicenda della ragazza protagonista e va avanti per centinaia di pagine.

Era stato iscritto al Partito d’azione, poi il Partito d’azione non ebbe futuro, e lui fu vicino essenzialmente ai socialisti. Insieme con Bianciardi e altri condusse a Grosseto un’autentica battaglia contro la legge maggioritaria, la cosiddetta “Legge truffa” del  1953. Successivamente partecipò attivamente alla vicende della sinistra italiana, dopo la rivolta ungherese del 1956. Cassola, a differenza di  Bianciardi,  aveva fatto la Resistenza. Infatti “Fausto e Anna” è la storia del suo periodo partigiano. Una strana storia d’amore, in cui i protagonisti  si conoscono durante l’adolescenza, ma si ritrovano quando lei è già sposata. Poi, nel 1962, dopo il congedo dall’insegnamento, fu eletto consigliere al Comune di Grosseto nelle liste del Psi.

Poi ci sono le grandi utopie.

Cassola aveva sempre avuto uno sguardo particolare per la questione sociale,  con Bianciardi portò avanti un’intensa attività pubblica, fino all’inchiesta  I minatori della Maremma (Laterza, 1957), sulle miniere di Ribolla e Massa Marittima.

Poi la battaglia per il disarmo, un’utopia tipica dei tempi, che non poteva avere un futuro perché non si può pretendere di disarmare un paese quando il resto del mondo non lo fa. Un’utopia estrema che si colloca bene in quel periodo, successivo agli anni sessanta, di  utopie estreme.

Cassola è molto preoccupato dallo spettro della guerra atomica, come Sciascia in “La scomparsa di Majorana”, denuncia perciò il pericolo nucleare e lo spreco per le spese militari, uno sperpero di ricchezze che colpiva soprattutto il terzo mondo: “capì che di fronte al rischio incombente di una guerra atomica, non ci fosse altro compito per un artista se non battersi per evitare la catastrofe” (Gaccione, 2017 – <https://altreconomia.it/cassola-disarmista/>).

Lui diventa un militante ma con quelle parole d’ordine non poteva avere esiti di successo. D’altra parte negli anni ’60 e ’70 c’erano queste utopie impossibili, perché si erano vissute delle avventure storiche che avevano il sapore dell’impossibile: il Vietnam, un paese del terzo mondo che sconfigge la prima potenza militare mondiale; Che Guevara e Castro, che non solo fanno cadere Batista, ma prendono il potere a Cuba. Era il periodo in cui le utopie prendevano forma , si credeva al progresso e alla sconfitta del vecchio mondo e il ’68 italiano fu un esempio clamoroso. Si credeva davvero che l’Italia, un paese atlantico posto in mezzo al mare Mediterraneo, controllato dagli Stati Uniti, potesse avere un futuro comunista. Lo si riteneva possibile, a tal punto che si ragionava, negli anni settanta, di ‘transizione’ ad altra società. Direi  di collocare Cassola all’interno di queste vicende, molto particolari. In ogni modo, intesa come pacifismo senza l’estremo azzardo del disarmo unilaterale, la sua presa di posizione rimane legittima e non priva di risonanze anche oggi. In realtà non abbandona del tutto le tematiche esistenziali. Ci sono due romanzi storici, che peraltro non reggono, ambientati uno nella Roma imperiale (Il ribelle, 1980), e La zampa d’oca (1981), nei quali lui cerca di trasferire i contenuti e i sentimenti della fase esistenziale. Sono però romanzi che si giustificano solo con la sua necessità di scrivere compulsivamente, sempre e comunque.

Una domanda che mi viene di fare:  e i giovani? Secondo Lei leggono e capiscono Cassola?

Cassola è piaciuto tanto ai giovani del passato, dai quali è stato molto letto. Ad un convegno tenuto in Palazzo Medici Riccardi (Carlo Cassola. Atti del convegno, Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, 3-4 novembre 1989, a cura di Giovanni Falaschi, Pontassieve, Becocci Editore, 1993) ci fu la testimonianza di un insegnante-scrittore, Marco Lodoli,  che parlò dei libri di Cassola in termini di uso, di usura; disse che erano i più consumati, i più rovinati sugli scaffali della biblioteca, per via delle frequenti letture degli adolescenti . Non saprei se adesso questo interesse sia ancora vivo, se gli insegnanti ne consiglino la lettura.

Forse l’insidia di oggi deriva dal fatto che c’è scarsa attenzione alla memoria. Non si ricorda più nulla, tantomeno la storia del ‘900, com’è quella narrata da Cassola. Nel Cacciatore, per esempio, gli anni sono quelli della prima guerra mondiale: si può dire che nella sua opera è conservata tutta la storia popolare del ‘900. Per leggere questi racconti  è necessario pensare a un ragazzo motivato, interessato alla storia del secolo scorso, alla necessità di restituirla attraverso la letteratura.

Quindi si potrebbero invitare i ragazzi a leggere Cassola per conoscere il ‘900 dall’interno, dal punto di vista delle persone che lo hanno vissuto, non solo attraverso i libri di storia. Secondo Lei lo scrittore potrebbe costituire una scoperta per i giovani?

Sì certo. Questa continua perdita di senso del passato, mentre tutto è concentrato sull’attimo, potrebbe essere contenuta e frenata da una lettura come questa. Oggi c’é una netta prevalenza delle immagini, immagini che scorrono veloci, sequenze che durano in media pochi secondi. Questo sposta il discorso sulla continuità, manca invece la profondità. La letteratura propone la profondità, che il cinema non può dare. Calvino diceva “ho fiducia nel futuro della letteratura perché ci sono cose che solo la letteratura può dire”. Credo che sia vero, però forse Calvino non ha calcolato che avrebbe potuto non esserci sintonia: che è quello che avviene oggi perché non c’è più chi vuole ascoltare, questo è il problema.

Per via della velocità?

Della velocità, della superficialità, una cosa sostituisce l’altra a ritmo incalzante, non si approfondisce nulla. Mi diceva Lino Pertile, un amico che ha insegnato ad Harvard ed è stato direttore de I Tatti, che quest’anno al suo corso supplementare su Dante si sono iscritti solo quindici studenti,  mentre era abituato ad averne sempre tra i duecento e i trecento. Gli studenti si iscrivono ora perlopiù ai Film Studies , ai Cultural Studies e via discorrendo: secondo me, anche  perché la letteratura è troppo faticosa per i giovani d’oggi, abituati a leggere con velocità schermi luminosi. Leggere un libro vuol dire capirlo, analizzarlo e questo molti non lo sanno fare o si rifiutano per esperienze più facili.

Quando i giovani vanno ai festival di letteratura e sentono parlare di un libro si accontentano degli appunti che hanno preso, ritenendo che possano sostituire la lettura del libro. Mentre, è chiaro che ci dovrebbe essere un rapporto personale con il libro, un rapporto di riflessione sui contenuti. Purtroppo i tempi sono questi, tutto è molto complicato. Non c’è dubbio comunque che la letteratura continua a sopravvivere, tutti ce l’auguriamo, e soprattutto, tornando a noi,  ci auguriamo che la voce di Cassola abbia il diritto ad una sua pertinenza, perché ha raccontato cose che nessun altro ha saputo raccontare: ha questa sensibilità eccezionale per intuire la psicologia di gente modesta, cosa difficile per un intellettuale.

Nonostante questa sua profondità però ha ricevuto critiche e opposizione. Non è stato capito.

Erano tempi votati all’ideologia, alla lotta di classe, alla battaglia sociale e i contenuti dovevano fare riferimento a questo.

Cassola e Bianciardi: quali le affinità?

Erano entrambi  due scrittori grossetani perché anche Cassola, per quanto romano di nascita,  poi ha vissuto e insegnato a Grosseto a lungo. Ha abitato in piazza Duomo, ma anche in una modesta periferia. Insieme, Cassola e Bianciardi hanno avviato le loro ricerche, Cassola ha messo l’amico in contatto con le riviste dell’epoca, sicché Bianciardi ha potuto pubblicare i suoi primi articoli, agevolato dalla segnalazione. Poi hanno lavorato  insieme al libro I minatori della Maremma, del  ’56, singolarissimo perché non c’era mai stata un’inchiesta con questo taglio. Un lavoro complesso, in cui i due scrittori forniscono anche le biografie dei minatori, un po’ come capita nella microstoria studiata dalle Annales in Francia, la storia degli umili, dei personaggi eccentrici e minori, delle vicende trascurate. Questi studiosi si dedicano alla cultura materiale, ad esempio, il cibo, l’alimentazione: allo stesso modo Bianciardi e Cassola descrivono perfino  i luoghi dove i minatori dormivano. Ma nel 1956 le ricerche degli storici francesi non erano popolari in Italia. Successivamente le loro strade si separarono:  Cassola puntava agli aspetti esistenziali, mentre Bianciardi era più interessato alle ragioni dell’ideologia anche se senza dogmatismi, come dimostrano i loro libri successivi. Hanno continuato però a restare in buoni rapporti.  Bianciardi  del resto è morto ancora giovane.

In conclusione, ricordiamo il programma dell’incontro del 30 novembre alle ore 17, presso la Biblioteca delle Oblate, dal titolo “Cassola, l’opera”:

  • Anna Dolfi: presentazione del catalogo Sconfinamenti. Le terre lontane di Carlo Cassola, a cura di Alba Andreini (Arcidosso, Effigi, 2017), realizzato in occasione della mostra per il centenario.
  • Paolo Maccari: Il soldato
  • Matteo Marchesini: La ragazza di Bube
  • Introduce e coordina: Arnaldo Bruni.
  • Letture a cura dell’Associazione La Nottola di Minerva. Proiezione di filmati su Carlo Cassola, (Archivi Teche RAI).
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