
Firenze – I numeri di questi giorni, che riguardano i presidi ospedalieri fiorentini di Ponte a Niccheri, Torregalli e Santa Maria Nuova, sono inquietanti, secondo quanto emerge dal focus della FP-CGIL: all’ospedale di Ponte a Niccheri, i circa 80 posti letto Covid sono pieni, nei prossimi giorni se ne aggiungeranno 15. Stanotte c’erano 15 pazienti in barella che aspettavano un posto letto. All’ospedale di Torregalli, che nei piani iniziali doveva essere free Covid, si sono dovuti trovare 15 posti letto Covid in Medicina 1, e 35 posti letto di chirurgia sono stati trasformati in posti letto Covid; i pazienti in barella possono attendere fino a 24/48 ore per entrare in reparto. Nell’ospedale di Santa Maria Nuova (26 posti letto Covid più sei di rianimazione), le attese in barella sono di 24 ore nel reparto osservazione Covid, di 24/48 ore per il ricovero di pazienti no Covid.
Numeri che danno la misura della terza ondata della pandemia, che si sta rivelando la più pericolosa da quanto visto fino ad oggi, come si legge nella nota del sindacato che getta l’allarme sia per l’elevato numero di ricoveri, che per il repentino abbassamento dell’età media dei contagiati che ora si attesta sui 43 anni, numeri che implicitamente parlano anche di ragazzi sotto i 30 anni che potrebbero ammalarsi gravemente.
“L’abbassamento dell’età media – si specifica nella nota – comporta un drastico aumento dei tempi medi delle degenze, con gravi ripercussioni sui servizi di degenza ordinaria, sia covid che non covid, reparti di degenza medica tutti da settimane iper-affollati con pazienti molto complessi da gestire”.
Ciò che emerge dal focus messo in piedi dalla Cgil, è che l’emergenza è tracimata fino ai reparti di medicina senza che nessuno se ne accorgesse. “Mentre fino ad oggi abbiamo rivolto principalmente la nostra attenzione all’occupazione dei posti letto di terapia intensiva – dicono dalla Cgil – nessuno si è accorto che i reparti di medicina si sono trasformati in veri e propri reparti di sub-intensiva, dove vengono trattati pazienti critici che necessitano di un’intensità di cure molto elevata, senza che ci sia stato il necessario adeguamento degli organici”.
Organici destinati a vedere altre defezioni con l’attivazione della zona rossa, dal momento che restando chiuse, almeno ad ora, tutte le scuole, tanti lavoratori sanitari chiedono di rimanere a casa usufruendo dei congedi previsti per stare con i figli in età scolare.
“Queste ulteriori assenze – tirano le fila dal sindacato – si andranno ad aggiungere a una situazione generale in cui il personale è stanco e appena sufficiente per coprire gli schemi di servizio nei reparti non covid, ma risulta inadeguato numericamente per i reparti covid, che sistematicamente stanno prevalendo dalla metà di marzo sulle degenze normali”.
Insomma il rischio è che, a causa delle gravi carenze di personale infermieristico e Oss, ci si ritrovi “di fronte alle scene già viste nel corso della prima ondata, quando il personale era costretto a indossare le tute anti-contaminazione per interi turni di lavoro senza alcuna possibilità di ristoro e di interruzione per poter espletare i propri bisogni fisiologici”.
Di fronte a una situazione così pesante, la FP CGIL chiede alla Direzione aziendale di attivare tutte le misure organizzative “che permettano di recuperare il personale impiegato in attività sanitarie non direttamente collegate con l’emergenza sanitaria, oltre che di continuare ad attingere dalla graduatoria ESTAR per Oss ancora attiva”.
Le prossime due settimane potrebbero rappresentare la fine della fase più cruenta della pandemia nel nostro territorio. Tuttavia, dicono dal sindacato, “per raggiungere questo obiettivo con la massima sicurezza serve un ulteriore sforzo da parte di Regione e Aziende sanitarie per attivare tutte le misure straordinarie già messe in opera durante la prima ondata e che hanno permesso di garantire la tenuta di tutti i servizi sanitari essenziali”.
Infatti, è evidente che la mancanza del dovuto personale potrebbe comportare dei gravi disservizi e disagi nella gestione sia dei pazienti Covid positivi che di quelli no covid con potenziali pericoli nella sicurezza delle cure.