
Firenze – Per merito di Fabbrica Europa (in questo caso in felice collaborazione con il Maggio Fiorentino) si può assistere a spettacoli provenienti dall’Estremo Oriente che trasmettono quanto di meglio si elabora nella cultura e nella visione del mondo di quell’area. L’anno scorso l’eccezionale spettacolo della City Contemporary Dance di Hong Kong diretta da Sang Jija; quest’anno la Korea National Contemporary Dance Company di Aesoon Ahn, andata in scena ieri 26 giugno al Teatro Goldoni.
Diciamo subito che Bul-ssang, il titolo dello spettacolo di Ahn, si avvale anche dell’opera di altri due talenti: l’installazione di Jeong- Hwa Choi e la impressionante musica live del Dj Soulscape, personaggio molto popolare in Corea, artisti che aggiungono alla danza un’ulteriore forza espressiva ed evocativa, sottolineandone il messaggio.
Il termine coreano Bul-ssang denota la statua di Budda, ma ha assonanze anche con la parola che designa la “miseria”. Così il sipario si apre su un quadro che è già una sorpresa per gli spettatori. Sul palco disposte come su un scacchiera statuette di varia grandezza che rappresentano Budda nelle posizioni della tradizione, opere della pop art, che il programma di sala ci dice abbiano fatto scattare l’immaginazione creativa di Ahn dopo averle viste al Buddha Bar di Parigi.
All’inizio vi sono solo due ballerini visibili, in realtà coreografo e scenografo sono riusciti a mimetizzare l’intero corpo di danza con maschere e acconciature. Spuntano fuori ad un certo punto, quando statue e statuette diventano parte integrante dei loro movimenti.
La modernità in Corea si nasconde e si origina dalla tradizione, segnala l’autore, ma attenzione: se si rifiuta la propria identità culturale per schiacciarsi sui miti consumistici e materialistici dell’Occidente, il risultato sarà il conflitto sia nella consapevolezza dell’individuo che nel rapporto con gli altri. L’equilibrio va in pezzi e i 14 danzatori sono costretti a una affannosa ricerca dell’armonia partendo dalla realtà fisica del corpo.
Uno dei momenti più coinvolgenti del balletto è una sorta di guerra dei “piatti di plastica” che finiscono per coprire tutto il palco, mentre invano qualcuno tenta di costruire improbabili architetture. E’ inutile: se la civiltà orientale accoglie dall’Occidente solo gli oggetti di consumo non riuscirà a salvarsi.
Alla fine, tornano le immagini del Buddha, ma non solo le figurine pop-art: l’immagine di una gigantesca statua, quella dei templi, viene proiettata sullo sfondo della scena. L’Asia ritrova le radici ideali della sua esistenza.
Al di là della dinamica del racconto per musica, gesti e movimento, eccezionale è la combinazione di danze diverse mostrata dai ballerini: danza contemporanea, danze tradizionali asiatiche, le arti marziali. Nella tecnica stessa del movimento Ahn è riuscito a esprimere il dramma della perdita e della ricerca dell’identità. Della solitudine di chi ha abbandonato le ragioni che tengono insieme la comunità e della spinta a trovarle di nuovo. Più ricche.