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Di là d’Arno, dove il malvivente fugge da un tetto all’altro Rubriche

Di là d'Arno, dove – secondo Jarro – il malvivente cammina sul tetto come la gente perbene in salotto:
«Dovete sapere che ogni casetta comunica con l'altra: da un orto si scavalla nell'altro: ci sono a ogni piè sospinto passaggi e nascondigli. Lo spazio è larghissimo: e si va per cinque o sei strade, da una parte all'altra, scorazzando nell'interno. Non basta. I tetti sono famigliari ai malviventi: vi camminano come voi pel vostro salotto: si vedono sempre scale preparate: ci è sempre gente che sa di dover scappare e altra che le tien di mano. Io stesso ho veduto una scala appoggiata a un punto molto pericoloso. Probabilmente pochi se­condi prima aveva servito per scappare a qualche ladro latitante. Il camminare sui tetti è una lor prerogativa: ciò accade anche nel Ghetto, dove il risico di cascare, sfracellandosi, da quella immensa altezza è così grande; e pure vi corrono spesso anche di notte con una agilità e una fortuna la quale manca sovente a infelici operai, che piombano da punti elevati e muoiono miseramente. Il quartiere, di cui parlo, è così esteso e propizio ai malviventi, per l'agio che porge loro di balzare in pochi secondi da un punto estremo all'altro, che un contumace può rimanervi incolume eziandio per settimane e di là spiccare il volo e mettersi in salvo. La Polizia è brava, ma a Malborghetto, alla Sacra, al Campuccio, lungo le mura di San Rocco, in quel metodo d'inseguimento nulla, o poco può: a molti agenti insieme non è dato di mettersi a saltar muri, terrazzi, né di sapere in quel laberinto di ragnaie, di serpai, di ortaglie, di corti, di capannacce, la direzione che ha preso il furfante.»

Jarro, Firenze sotterranea, 1881

immagine: illustrazione di Fabio Fabbi per la quarta edizione, 1900, di Firenze sotterranea

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