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Epifania tragica: la congiura di Lorenzaccio del 1537 Cultura

Firenze – Quella del 1537 a Firenze fu un’ Epifania densa d’inquietudine. Si tennero le cerimonie religiose e i festeggiamenti, fuori dal Palazzo di Via Larga furono deposte le ceste con i doni che i Medici tradizionalmente elargivano, ma la gente notò l’assenza del giovane duca Alessandro che non mancava mai per tale occasione. Da Palazzo si disse che dormiva dopo un’intera notte di baldoria. Ma si diffusero voci che avesse lasciato la città per sfuggire a un complotto o che fosse stato ferito.

Il giorno dopo si seppe che nella notte fra il 5 e il 6 gennaio era stato ucciso da Lorenzino de’Medici, un lontano cugino che era divenuto suo devoto amico e confidente. Ricorda Benedetto Varchi che se ne serviva anche come ruffiano per le sue estemporanee conquiste “come le donne religiose, come le secolari o pulzelle o maritate o vedove o nobili o ignobili o giovani o attempate che fossino”. (B.Varchi, Storia fiorentina, Firenze Le Monnier, 1857-1858, vol III, p.188).

Lorenzino recitava la parte dell’intellettuale sognatore, diceva che aveva paura delle armi, accettava con buona grazia i pesanti scherzi del suo padrone. In realtà stava già progettando il suo assassinio. Eppure, qualcuno, da tempo, aveva intuito la verità. Benvenuto Cellini racconta nella sua autobiografia (Libro 2, LIII- LX) che era nella stanza del duca per una medaglia che gli era stata commissionata. Si doveva scegliere una bella frase da mettere sul retro e Alessandro con un certo sarcasmo disse a Lorenzino che avrebbe dovuto pensarci lui, visto che era un intellettuale. Il cugino – annota Cellini– accettava di buon grado l’ironia e appariva sorridente “ma i suoi occhi denotavano un odio profondo”.

Il celebre scultore e orafo – come osserva Marcello Vannucci nel riportare l’episodio nel suo Lorenzaccio, (Newton Compton,1984) – era un maestro nel cogliere le espressioni delle persone. Ma ogni tentativo di mettere in guardia Alessandro veniva liquidato con una risata.

Poi, nel 1536, in occasione del matrimonio del duca Alessandro con la figlia di Carlo V Margherita d’Austria, Lorenzino, chiamato a rappresentare una sua commedia, l’Aridosia, dette all’autore delle scenografie Bastiano da Sangallo dettagliate indicazioni su come strutturare il palcoscenico. Il Sangallo obiettò che tale allestimento avrebbe messo a rischio la stabilità del tetto e delle gradinate. Ma Lorenzino insisteva. Allora il Vasari, anch’egli convinto che ci fosse pericolo per gli spettatori, sostenne le ragioni dell’amico Sangallo e poiché Lorenzino non si dava per vinto, Vasari ebbe il sospetto che avesse il disegno di uccidere il duca insieme a molti spettatori.

Alla fine, lo stesso Vasari e il Sangallo minacciarono di parlarne con il duca Alessandro. Lorenzino rinunciò allora alle sue pretese. Ma il dubbio sulle sue intenzioni rimase.

Alcuni mesi dopo, Lorenzino decise di colpire in occasione dell’Epifania che a Firenze era una ricorrenza importante; quella notte perché ci sarebbe stata festa in tutta la città ed eventuali grida non sarebbero state avvertite.

Lorenzino cominciò, anzitutto, a procurarsi l’aiuto del suo fedele, Scoroncolo. Poi allestì il piano. L’occasione gli fu data dalla solita smania di Alessandro che, volendo avere le donne più inaccessibili, da tempo assillava il cugino perché – come ricorda Benedetto Varchi – convincesse la sua bellissima e morigerata zia Caterina ad avere un incontro amoroso con lui.

Dopo essersi a lungo schernito, Lorenzino gli comunicò che la donna aveva accettato d’ incontrarlo nella notte del 5 gennaio (ovviamente Caterina era ignara di tutto). Aggiunse che era molto pudica, quindi sarebbe andata nell’appartamento di Lorenzino, che si affacciava su via Ginori, ma l’incontro sarebbe dovuto avvenire al buio. Si sarebbe mostrata solo.. dopo.

Alessandro era così sicuro della devozione del cugino che  non ebbe sospetti, pur in una situazione così strana. Anzi, congedò le guardie del corpo che con, a capo il fedelissimo Ungaro, lo seguivano ovunque.

Quando, a notte inoltrata, Alessandro, uscendo dalla porta posteriore del Palazzo di Via Larga, arrivò nell’appartamento, Lorenzino, con la scusa di aiutarlo a spogliarsi, mise la spada lontana dal letto e si assicurò che non avesse pugnali. Poi spense le candele e gli disse di aspettare la donna agognata. Invece, fu lo stesso Lorenzino a rientrare e lo colpì al petto alla gola. Poiché Alessandro era vigoroso, nonostante i colpi mortali non si accasciava e dovette intervenire anche Scoroncolo, il quale solo allora seppe chi era la vittima dell’attentato.

Dopo l’assassinio, Lorenzino e il suo complice uscirono all’alba dalla città da porta S.Gallo in direzione di Bologna. L’ora era insolita, ma si trattava del cugino ed emissario del duca e non ci furono problemi per il lasciapassare.

A Bologna  sperava di suscitare entusiasmo per il suo gesto “tirannicida” ma l’accoglienza fu tiepida perché probabilmente i fuoriusciti non si fidavano di lui, temevano che fingesse. A Venezia, invece, fu accolto in modo caloroso, a cominciare da Filippo e Piero Strozzi, perché la notizia dell’assassinio era nel frattempo arrivata.

Intanto a Firenze, il potere mediceo era riuscito a reggere e per succedere ad Alessandro fu scelto  Cosimo, il figlio di Giovanni dalla Bande nere. Uno dei primo atti del nuovo duca fu proprio di adoperarsi per far arrestare il regicida.

Per sottrarsi alla cattura, Lorenzino andò a Istanbul ma gli inviati di Cosimo ne chiesero al Sultano l’estradizione. Allora si recò in Francia. Negli anni seguenti tornò in Italia per prendere contatti con i fuorusciti. Poi di nuovo a Parigi dove, per sfuggire ai sicari, si rifugiò in alcuni conventi, travestito da monaco. Ma ogni volta fu individuato da emissari di Cosimo o di Carlo V, che voleva giustiziare l’assassino del genero.

Alla fine, dopo otto anni di peregrinazioni, sconfortato, tornò a Venezia, dove, all’alba del 26 marzo 1548 mentre rincasava, fu pugnalato a morte da due sicari. Gli studi di Stefano Dall’Aglio esposti in  L’Assassino del Duca. Esilio e morte di Lorenzino de’ Medici, Olschki, Firenze 2011, hanno rivelato che i due agivano per conto dell’imperatore Carlo V e non di Cosimo come si era a lungo ipotizzato.

Resta da capire il movente dell’assassinio del duca. Lorenzino nei giorni  immediatamente successivi al clamoroso evento, scrisse un’ Apologia che fece circolare tra i fuorusciti  per spiegare che il suo gesto era scaturito dal desiderio di restituire a Firenze la libertà.  Benedetto Varchi osserva che l’attentato fu accuratamente preparato, eseguito con determinazione ma poi ,caso assai raro, nella storia dei delitti politici, era fuggito senza nemmeno tentare di sollevare la popolazione.

Ebbene, proprio la fuga precipitosa senza un tentativo di sollevazione popolare fa pensare che a spingere Lorenzino ci fosse un ulteriore motivo, di carattere privato: l’invidia del parente povero che, pur essendo più intelligente e più colto, deve stare al servizio del cugino più fortunato, subire il suo sarcasmo, le sue imposizioni, fino a non poterne più.

Ma si deve considerare l’ipotesi – la più accreditata dagli storici dell’epoca a cominciare da Benedetto Varchi,-che a sospingerlo fossa stato soprattutto il desiderio di un grande gesto che lo avrebbe reso famoso e ammirato come un tirannicida. E non si aspettava, certo, che sarebbe stato braccato per anni.

Merita, altresì rilevare che recenti studi hanno attenuato l’immagine fosca del duca Alessandro. Tirannico, certo, ma non più di altri governanti; anche la sua smania di conquiste sessuali sembra che sia stata enfatizzata dagli oppositori. Tra le premonizioni post factum ci furono anche quelle degli astrologhi. Ricorda Marcello Vannucci  (Newton Compton op.cit., 1984, p.160) che notarono una funesta  sequela di un numero, il 6. Aveva 26 anni, fu ucciso il 6 gennaio 1536 (secondo il calendario fiorentino l’anno terminava il 25 marzo) alle ore 6, con 6 pugnalate. Ma, in realtà, il delitto era avvenuto durante la notte (alle 6, forse era stato scoperto)  e il numero delle pugnalate non si è mai saputo.

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