
Firenze – La Toscana nasce lì, quando decide, nel 1786, con le riforme leopoldine, primo stato al mondo, di abolire la pena di morte. Oggi, martedì 30 settembre, il pensiero torna a quell’evento, a quella prima pietra che fu posta dall’amministrazione leopoldina, e che fu il prodromo, come ricorda il presidente della Regione Eugenio Giani nel suo intervento, “dell’abolizione della pena di morte in 106 paesi del mondo, su circa 200 stati. Ancora più della metà della popolazione mondiale vive in paesi in cui nell’ordinamento legislativo, come extrema ratio, è prevista la pena di morte. I valori della civiltà, dell’umanesimo, dei diritti, della libertà che la Toscana seppe esprimere per prima 235 anni fa, sono attuali. Il rispetto dell’uomo è uno dei salti di qualità della civiltà umana”. Rispetto dell’uomo nella sua sfera sia fisica che spirituale che sociale. Tantè vero che quest’anno la celebrazione dell’abolizione della pena di morte si collega indissolubilmente con un’altra necessità, quella del contratto al linguaggio d’odio.
Il leit motiv della Festa odierna è in pieno dentro l’attualità, come mette in luce Antonio Mazzeo, presidente del consiglio regionale: “La Festa della Toscana, non vuole essere solo una celebrazione del ricordo di ciò che è stato, ma anche un’occasione per rinnovare il nostro impegno su questi temi attualizzandoli al tempo che viviamo. E’ per questo motivo che, quest’anno, abbiamo deciso di rinnovare questo patto di civiltà umana scegliendo come tema il contrasto ai linguaggi d’odio ed abbiamo invitato tutti i sindaci della Toscana a partecipare alla seduta solenne: vorrei che questo 30 novembre si levasse forte, dal nostro Palazzo, un messaggio di speranza e di unità con l’impegno, prima di tutto delle Istituzioni, a dare il buon esempio anche in termini di correttezza del linguaggio e di promozione della comunicazione non ostile. Non un punto d’arrivo, dunque, ma l’inizio di un percorso che vorremmo poi portare avanti con una grande campagna di sensibilizzazione destinata soprattutto ai giovani della nostra regione: ciò che ci prefiggiamo con questa Festa, insomma, è gettare dei semi affinché possano poi germogliare ed essere patrimonio di chi domani guiderà il nostro Paese”.
E’ la Toscana che non odia, quella che si è riunita, con la partecipazione di varie personalità, al Teatro La Compagnia per la sottoscrizione del manifesto per la comunicazione non ostile e il contrasto all’hate speech, la Toscana dell’umanesimo come ha sottolineato il presidente Giani nel corso del suo intervento nel consiglio solenne. Dopo la lettura dei saluti della senatrice a vita Liliana Segre e l’introduzione del Presidente dell’Assemblea regionale Mazzeo, sono intervenuti il Presidente di Amnesty International Italia Emanuele Russo, la Direttrice dell’Istituto DIRPOLIS della scuola San’Anna di Pisa Gaetana Morgante e il presidente della Regione Eugenio Giani. I Gonfaloni dei comuni toscani si sono poi recati in corteo verso l’arengario di Palazzo Vecchio.
La senatrice a vita Liliana Segre, nel suo intervento di apertura del consiglio sotto forma di messaggio audio, mette l’accento sulla connessione fra l’abolizione della pena di morte e la lotta ai linguaggi d’odio. “Significa porre nella giusta prospettiva, storica, giuridica e culturale, un tema decisivo come quello dei diritti umani”. La Toscana, dice la senatrice, “vanta una grande tradizione in fatto di tutela dei diritti, sia sul piano della elaborazione teorica e giuridica, sia delle pratiche dei suoi governanti più illuminati e tutela non solo dei diritti civili e di libertà, ma anche dei diritti sociali”.
Un problema quello dell’hate speech, che “investe il sistema dell’informazione e le politiche della formazione, la scuola, l’università, direi la qualità stessa delle nostre relazioni interpersonali”. Un tema che viene reso ancora più pervasivo dalle nuove tencologie, “dall’uso e abuso dei social media, del ricorso a sempre più sofisticati e insidiosi algoritmi programmati per tutelare più gli interessi delle piattaforme, che la libertà e la dignità delle persone”.
Ed è Antonio Mazzeo a ricordare che a tutti i sindaci intervenuti, su proposta del vicepresidente Marco Casucci, sarà donata la bandiera della Toscana, quel simbolo del Pegaso che sintetizza “i valori fondanti della nostra storia”. Dopo un ricordo di Giulio Regeni e Patrick Zaki, le cui storie rappresentano “la negazione di quei diritti fondamentali che richiamava la senatrice Segre e lo stesso vale per quelle quasi 500 persone che ufficialmente sono state giustiziate nel 2020”, il presidente del consiglio regionale sottoliena che “non c’è giustizia laddove c’è violenza”. Mazzeo insiste, er quanto rgiuarda i messaggi d’odio, sulla necessità di “denunciare, raccontare e tutelare chi è più fragile e più debole”, ma incalza sul significato della sottoscrizione del manifesto per la comunicazione non ostile, ricordando che la Regione Toscana rappresenta il primo Consiglio regionale in Italia a firmarlo. Un gesto simbolico, ma “siamo convinti che questa sia la direzione da prendere”. L’hate speech parla cnhe con i numeri che sono sconvolgenti, come rivela Mazzeo: “Da gennaio a oggi sono stati estratti 800mila twitt, dei quali il 69 per cento risulta discriminatorio contro donne, disabili, omosessuali e stranieri. È un dato che deve farci riflettere”.
Emanuele Russo, presidente di Amnesty International, pone l’accento sulla difficoltà nel trovare “una giustificazione per uno Stato che decide di uccidere una persona, non importa quale sia il reato”. Russo, dopo aver ricordato le tappe che portarono Amnesty, dal ’70 in poi, ad assumere un ruolo fondamentale nelle battaglie per l’abolizione della pena di morte, mette l’attenzione sul collegamento fra “il percorso verso l’abolizione universale della pena di morte e la diffusione del discorso d’odio”. Se la pena di morte è la rappresentazione più evidente di uno stato che nega i diritti umani, “il proliferare incontrollato del discorso d’odio nelle nostre relazioni, nelle nostre agorà, rappresenta un rischio mortale per la convivenza pacifica e armonica”. Infine, sprona alla ricerca della soluzione, necessaria in quanto “la posta in gioco è perdere la capacità di relazionarsi con gli altri per affrontare i temi comuni”.