
Il 19 dicembre di sette anni fa ci lasciava il pittore espressionista Gastone Torini, una delle figure più importanti del secondo Novecento aretino.
Nato a Poppi il 3 luglio 1928, viene notato giovanissimo dal procuratore di Ottone Rosai, amico del padre, che vista la sua predisposizione per l’arte convince i genitori a mandarlo a bottega dal maestro toscano. Lì conosce i compagni di Rosai: Carlo Carrà, Ardengo Soffici, Giovanni Papini e Lorenzo Viani.
Nel 1948 entra in contatto con il pittore Antonio Ligabue e nel 1960 fa amicizia con il senatore Mario Roffi, che lo convince a diventare artista a tempo pieno.
Trasferitosi a Milano, frequenta l’Accademia di Brera con il maestro Aldo Carpi e quindi lo studio di Pino Ponti, dove conosce figure come Max Ernst, Salvatore Quasimodo e Lucio Fontana.
Nel 1963 Torini entra in un periodo di crisi da quale esce fuori con rinnovato stile grazie anche agli incontri con De Chirico, Guttuso, Annona, Ortega, Bueno, Maccari e tanti altri.
La carriera dell’artista subisce una brusca sosta dal 1980 al 1988, a causa di gravi problemi di salute. Sono comunque anni di grandi riflessioni e di una nuova maturazione stilistica, che in seguito sarà acclamata da pubblico e critica e porterà il pittore a conseguire importanti riconoscimenti.
Nel corso della sua carriera artistica Torini ha tenuto numerose mostre personali e collettive sia in Italia sia all’estero. Nel 2008, a pochi mesi dalla scomparsa, l’Assessorato alla Cultura del Comune di Arezzo ha dedicato all’artista una antologica nella Sala S. Ignazio, a cura di Rodolfo Tommasi, intitolata L’arte oltre il tempo.
“La pittura fortemente espressionista di Gastone Torini – spiega Sebastiano Zappalà in una sua critica – spinge il suo spettatore a ‘guardare’ l’opera d’arte anziché sorvolarla con lo sguardo e rimanere nel solo ‘visto’. Infatti, il pittore esprime nei suoi quadri una forza straordinaria che è capace di attrarre lo spettatore all’interno della realtà quotidiana che il Torini ci vuole mostrare, e che lui esprime in modo dinamico, incandescente, turbinoso, simbolico e accattivante, e tutto ciò con l’uso di tinte cromatiche spiccatamente corpose, dove il rosso la fa da dominante.
L’uso di questa tonalità cromatica primaria – prosegue Zappalà – fa sì che il Torini susciti nel suo spettatore sensazioni ancestrali, primordiali, che riportano la sua pittura allo stile dei primitivismi, dove le prime rappresentazioni di bisonti e cavalli erano in ocre rossa, oppure dove gli elementi del fuoco col suo calore e del sangue con la fluidità della vita sono un forte richiamo a tutto ciò che è natura. È infatti proprio il colore rosso che ha la capacità di far turbinare l’animo delle persone e darle forti emozioni.
La figura umana, e quindi la realtà che ci circonda, è guardata e interpretata da Gastone Torini nel suo dilemma profondo, nel quale l’esistenza dell’artista – e dell’umanità di cui lui stesso è rappresentante – o ha un senso o non lo ha. La realtà è pertanto vista senza compromessi di sorta e nella crudeltà generata dalla società contemporanea del perbenismo e degli interessi economici.
L’artista – conclude il critico – si pone fuori da tutti questi giochi, esplicitando in modo chiaro ed evidente lo sviluppo politico ed economico e la realtà congiunturale che ne deriva, ed utilizza le varie tonalità cromatiche in modo evidente e con trasparenza di simboli”.
(nella foto “La carica”)