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Goldoni alla Pergola: l’irresistibile fascino del classico a teatro Spettacoli

Firenze – La platea esaurita in ogni ordine di posti, un pubblico di tutte le età, un’aria serena e ciarliera in attesa dell’apertura del sipario. Fa bene allo spirito partecipare al rito del teatro classico che non è cambiato dai tempi di Molière, nonostante tutte le diavolerie multimediali e l’individualismo aggressivo dei social.

Alla Pergola di Firenze va in scena questa settimana” La Bottega del caffè”  che Carlo Goldoni scrisse nel 1750, la migliore e la più apprezzata da ogni pubblico del mondo fra le cosiddette 16 commedie nuove del grande innovatore. Scritto in lingua toscana e non in quella veneziana perché fosse apprezzata da tutto il mondo culturale italiota, il capolavoro goldoniano era destinato anche a promuovere la vita quotidiana a Venezia, con la sua alta civiltà dei rapporti, delle tradizioni, dei suoi campielli.

Un classico dunque nel più pieno senso della parola che si riferisce all’arte universale, attuale in ogni tempo e in ogni luogo. Sull’onda lunga di Molière, qui si parla di grandezze e miserie dell’ascesa della borghesia ante Rivoluzione francese con tutte le sue contraddizioni, ipocrisie, le avidità e le  convenzioni. Qui si descrive la decadenza squallida della classe nobile che si oppone con arti e maneggi, con meschinità e cattiveria ai nuovi valori della borghesia mercantile in ascesa (il nobile napoletano ridotto a praticare l’usura Don Marzio) e nello stesso tempo l’affermazione dei nuovi valori di onestà, operosità, solidarietà (il caffettiere Ridolfo che usa l’astuzia di mercante per porre riparo alla fragilità del mondo che lo circonda).

Quella classe in ascesa vorrebbe ancora essere riconosciuta da chi ha spadroneggiato fino ad allora e, per fare i suoi vari interessi personali e materiali, si traveste da nobili e da nobildonne. Finge di avere intorno a sé un mondo idilliaco di olimpiche amanti che, dalla porta di dietro, esercitano il mestiere più antico del mondo. Oppure si gioca alle carte la ricchezza appena conquistata nell’illusione di una rendita ancora molto precaria. Su queste debolezze impone il suo ruolo di creatore del caos il perfido Don Marzio; contro queste debolezze lavora instancabilmente  il buon Ridolfo, creatore di equilibrio e solidità di affetti e affari.

Alla fine vince lui, mentre l’altro viene emarginato come infido spione (non a caso non era veneziano), ma intanto il pubblico si è divertito di fronte a situazioni di maldicenza, calunnia, perfido pettegolezzo che rivelano debolezze e frustrazioni, aspirazioni alte e bassi istinti: quelli eterni dell’umanità come quella seduta in platea che, come ha detto Michele Placido, il Don Marzio protagonista, in una intervista “guarda se stessa sulla scena, come in uno specchio: Quelli sul palcoscenico siamo noi con i nostri punti deboli, i vizi e le mancanze, nascoste da un velo di ipocrisia”.  In questi diversi piani di lettura sta tutta la grandezza del commediografo veneziano: la quotidianità portata sulla scena per raccontare chi siamo.

Il campiello delle botteghe (caffetteria, bisca, parrucchiere, locanda, tessuti) è stato costruito dal regista Paolo Valerio come una serie di edifici ai quali è stata tolta la facciata e che dunque presentano solo gli interni (riprendendo l’idea di Georges Perec ne “La vita: istruzioni per l’uso”). Dunque interno ed esterno sono simultanei perché sulla piazza si raccontano apertamente i fatti più o meno vergognosi che avvengono nell’intimità. Tutto ormai si apre alle dinamiche dei tempi nuovi in arrivo nella scenografia di Marta Crisolini Malatesta (i costumi sono di Stefano Nicolao, le luci di Gigi Saccomandi, le musiche di Antonio Di Pofi e i movimenti di scena curati da Monica Codena).

Il grande innovatore prende il meglio della vecchia e superata Commedia dell’Arte, mantenendo un erede dei vecchi Arlecchino e Brighella, il servo astuto e maneggione, nel cameriere della caffetteria Trappola che, a differenza dei suoi predecessori, è sinceramente affezionato al suo padrone e lo aiuta per portare a buon fine le sue buone azioni.

Placido mette in campo tutto il suo talento nel rappresentare la falsa ingenuità, la gigioneria, la cattiveria tentatrice, il gioco al massacro del suo personaggio, ben coadiuvato dai comprimari: Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Anna Gargano, Armando Granato, Vito Lopriore, Francesco Migliaccio, Michelangelo Placido, Maria Grazia Plos. Affascinante la scena iniziale del carnevale veneziano.

Al Teatro della Pergola Fino al 5 febbraio

Foto di Simone Di Luca

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