
Firenze – Di una cosa si può essere certi, sia per dati che per analisi: il lavoro femminile è rinchiuso in una gabbia di differenze rispetto a quello maschile e stenta a spezzarne le sbarre. E’ ciò che emerge dal focus Ires-Cgil che è stato presentato oggi, 7 marzo, alla sede del sindacato regionale, quasi in ideale pre-festa delle donne. Festa poco, come quasi sempre quando di parla di donne. Lo dicono i numeri presentati nel corso dell’incontro con la stampa, ad esempio il numero di ore annue lavorate in meno dalle donne in Toscana rispetto agli uomini, un totale pari a 267,4 milioni di ore annue in meno, dato alimentato sia dal minore tasso di occupazione femminile (13 punti percentuali in meno rispetto al tasso di occupazione maschile), sia da una media settimanale di ore lavorate settimanali inferiore di 6,3 ore rispetto agli uomini. Meno lavoro per meno ore. Anche perché quasi un terzo delle lavoratrici dipendenti ha un contratto a tempo parziale, mentre la percentuali per i lavoratori è dell’8,6%. Se la media toscana non si discosta dalla media nazionale, è tuttavia superiore di oltre 2 punti percentuali rispetto alla media europea.
Sul punto, il presidente di Ires Toscana Gianfranco Francese spiega: “La grave situazione di crisi economica e sociale degli ultimi anni restituisce un quadro dell’occupazione delle donne anche nella nostra regione fortemente critico. Il titolo che abbiamo voluto dare all’incontro è “Lavorano in meno…. meno”, che è riferito non a una minore dipsonibilità delle donne al lavoro, sia dal punto di vista numerico soggettivo, sia da quello dell’impegno lavorativo, ma descrive una situazione che in questa fase post pandemica e ulteriormente critica rispetto alle conseguenze della guerra in Ucraina, presenta ulteriori elementi di criticità. Ci sono dati che possono apparire contraddittori e che meritano una spiegazione in premessa: se si guarda al lungo periodo, l’occupazione delle donne cresce, ma cresce anche il dato sulla disoccupazione femminile. I due dati, voglio sottolinearlo, non sono in contraddizione: il tasso di occupazione registra gli stock di occupazione, mentre il tasso di disoccupazione registra la quantità di donne disoccupate rispetto alla disponibilità. In realtà dunque si conferma ciò che viene definita da Burchi una forma di segregazione sul lavoro delle donne, poichè c’è una quantità maggiore di donne disponibili a lavorare ma c’è una quantità minore di donne che viene assorbita dal mercato del lavoro. Un dato eclatante è anche il numero minore di ore del lavoro femminile rispetto a quelle lavorate dagli uomini. E’ evidente che dal combinato disposto di questi numeri, minor numero di donne sul mercato del lavoro, una quantità di rapporti lavorativi più precari che riguardano le donne prevalentemente occpuate in settori meno strutturati, deriva poi un differenziale salariale che è un0incognita non indifferente rispetto alla possbilità per le donne di avere una vita indipendente e di fare scelte di indipendenza rispetto a una vita familiare in certi casi molto complicata”. Un contesto deteriorato che contribuisce a far riemerge con più forza “la figura dell’uomo ‘bread winner’ che rappresenta la fonte di reddito principale dei nuclei familiari, relegando la donna ad un ruolo spesso ancillare nel mondo del lavoro che ne mina sia in termini di partecipazione che di salario le possibilità di una reale autonomia economica e di indipendenza personale”.
I numeri diventano poi fondamentali per comprendere di che stampo sono le sbarre della gabbia, come spiega la dottoressa Sandra Burchi, autrice del focus sul lavoro femminile, collaboratrice dell’istituto Ires, in termini di partecipazione, modalità di occupazione, pervasività della presenza femminile e percorsi di carriera. Cominciando dai dati sui tassi di partecipazione e di occupazione per genere, solo il 67% delle toscane con età 15-64 anni è attiva sul mercato del lavoro. La percentuale degli uomini è dell’80%. Il divario continua nei tassi di occupazione, 63,8% per le donne, 76,7% per gli uomini. Da sottolineare che la Toscana presenta livelli migliori rispetto al dato nazionale, che vede valori particolarmente critici del Mezzogiorno. Lo scarto tra uomini e donne è per la nostra regione in linea con il Centro-Nord, con un differenziale che è stabile intorno al 13%.
“L’occupazione delle donne in Toscana vede una difficile ripresa – spiega Burchi – negli anni del covid era stata abbastanza evidente la difficoltà delle donne di rimanere nel mercato del lavoro. rispetto al 2021, quando l’occupaziione femminile registrava il dato del 59.2%, a fine 2022 si coglie un miglioramento che che nei numeri appare piuttosto buono, oggi siamo al 63,8% per le donne”.
Tuttavia, per quanto riguarda la ripresa post-pandemica dell’occupazione, è caratterizzata da alti tassi di precarietà, in modo preponderante per le donne lavoratrici. Si tratta complessivamente di un’occupazione precaria e discontinua, in cui l’ampia quota di contratti a termine riguarda sia gli uomini che le donne, gli uomini per il 40,5 % e le donne per il 38,1%, ma nello specifico dei nuovi posti di lavoro assegnati a donne emerge un ruolo rilevante del lavoro stagionale (che incide per il 17,3%), della somministrazione (al 12,2%) e del lavoro intermittente (12,9%), tutte forme che segnano una distanza con i contratti maschili. Cosa rende dunque difficile questa ripresa?
“E’ il fatto che dentro l’occupazione si riscontrano forme di debolezza, che abbiamo definito “occupazione a legame debole”. Si tratta in realtà di un condizione molto ampia, se ne parla in alcune ricerche Eurostat, che sempre di più si allarga anche agli uomini. I nuovi avviamenti riguardano uomini e donne, perché nel 2022, nel complesso dei novi avviamenti, soltanto il 20% degli uomini e il 15% delle donne ha avuto accesso a forme di lavoro a tempo indeterminato e full time. Si è quindi confermato l’accesso al mondo del lavoro attraverso una forma del lavoro debole, dal tempo determinato, nella maggor parte dei casi, ma anche in part time e stagionale”. Dunque, le donne non hanno una presenza debole nel mercato del lavoro, ma hanno un legame debole col mercato del lavoro, in quanto, spiega Burchi, il sistema complessivo non riconosce le qualità, le competenze, la formazione, l’intelligenza, ovvero tutto ciò che e donne dimostrano di saper mettere nel mondo del lavoro e della società.
“Esiste di fatto una segregazione di genere persistente – continua Burchi – lavoriamo in prevalenza in alcuni settori e in altri no, e non sono i settori più strutturati”. I settori di preferenza riguardano il grande mondo dei servizi, dall’educazione all’istruzione ai servizi della persona al turismo. Tanto part time, che è diventato da preferenza a dt strutturale. Il part time genera non solo differenza negativa in senso retributivo, ma anche contributivo. Il che significa, secondo Burchi, “che si prepara un tempo in cui ci saranno tantissime donne di età avanzata che vivranno in una probabile situazione di povertà e deprivazione economica”. Una segregazione che diventa una segregazione di genere persistente. Analisi confermata dai numeri, che in Toscana vede una diffrenza retributiva del 2% in meno se si considera il salario medio. Tuttavia, se si considerano i due estremi, ovvero il 10% con salari più alti e il 10% con salari più bassi, il salario orario lordo delle donne è inferiore rispettivamente del 6,3% e dell’8,5%. Tema sensibile e complesso, in quanto è difficile considerare le cause da rintracciare nella differenza fra la retribuzione de jure e quella de facto.
Conclude Barbara Orlandi (Coordinamento Donne Cgil Toscana): “Lo studio prodotto dimostra che, a fronte di una maggiore richiesta di lavoro da parte delle donne, il mercato del lavoro non è in grado di assorbirla e o l’assorbe garantendo lavoro povero, precario, saltuario e quasi sempre part-time. Ed è proprio il part-time ad essere la forma di accesso al lavoro delle donne maggiormente diffusa, in relazione al tema ‘conciliazione tempo di vita e tempo di lavoro’ che, invece, deve sempre più diventare ‘condivisione dei tempi di vita e di lavoro’; di quel lavoro non retribuito di cui si fanno carico quasi esclusivamente le donne e che riguarda la cura dei bambini, l’accudimento degli anziani, la gestione familiare. Occorre liberare il tempo delle donne, perché più si libera il tempo del lavoro non retribuito, più le donne potranno dedicare il tempo al loro lavoro retribuito garantendo così autonomia e indipendenza, condizioni fondamentali per liberarsi anche da quelle condizioni di violenza che, purtroppo, continuano ad essere presenti e perseguite proprio perché le donne non hanno autonomia ed indipendenza economica”.