
Eppure la novità c'è, ed è grossa: ci rendiamo conto, in ritardo forse, che l'Italia non è più il sogno per chi arriva sfuggendo fame, miseria, guerre, o magari solo per relizzarsi in un Paese più promettente. Sembrano dirci questo, i dati citati dalla cronista del Sole 24 Ore: immigrati che pur avendo percorso tutti i gradini dell'integrazione, prendono su le valigie e se ne vanno. Dove? In minima parte tornano ai loro Paesi, tanti riprendono le vesti di migrante verso altre nazioni europee. Germania magari, ma anche Francia. Non c'è modo più evidente per misurare la crisi che attanaglia il Paese che questo flusso di nuovo in movimento. Ma la realtà, come al solito, è più complessa. Ed è l'articolo del Venerdì di Repubblica che ci spiega qualcosa in più. In realtà, mette semplicemente nero su bianco un fenomeno che conoscevamo da tempo: i "cervelli" se ne vanno, arrivano le braccia. Perchè? Encomiabile Ichino che non si ferma alla trita e ritrita considerazione che i giovani italiani disdegnano i lavori manuali (anche qui ci sarebbe da affrontare la questione in modo più articolato) ma afferma che l'ingresso al lavoro, in Italia, avviene spesso per anzianità piuttosto che per merito. E propone una rivoluzione economica e culturale insieme. Altrimenti? Rimanere ai margini dei flussi di capitali, conoscenze, piani industriali ecc. Insomma, da tutto ciò che muove e fa vivere il lavoro. Segui il dibattito sulla rassegna stampa di Lavoro Nuovo
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