Leonardo Bagnoli (Sammontana): maestri gelatai nell’era dei robot

Empoli – I robot producono velocissimi, ma l’impasto ogni volta lo decide lui: l’artigiano che “annusa” farine e dosa i lieviti. L’impronta 4.0 di Sammontana è questa: automazione, qualità, e risorse umane di valore. Oggi l’azienda empolese ha un fatturato di 362 milioni e 1050 dipendenti sparsi in 4 siti produttivi a Verona, Empoli, Vinci e Pomezia.

In un mercato dominato dalle multinazionali, è seconda in Italia con una quota del 20% del gelato industriale, fra due colossi del calibro di Unilever Algida (45%) e Nestlé Motta (18%). Questo salto storico è datato 2008, quando Sammontana raddoppia la propria dimensione con l’acquisizione di GranMilano (marchi Tre Marie, Sanson, Ringo e Togo).

Leonardo Bagnoli, amministratore delegato e terza generazione di questa famiglia di imprenditori, ci spiega le profonde trasformazioni avvenute in questo decennio. C’è stata la crisi mondiale che tutti conosciamo, ma Sammontana ne è uscita rafforzata e rinnovata.

Nel 2008 Sammontana ha realizzato un importante salto dimensionale che l’ha proiettata in uno scenario competitivo molto diverso rispetto al passato. Cosa è accaduto in questi dieci anni?

Per Sammontana, oltre a un’esposizione finanziaria importante, si è posto il problema dell’acquisizione di aziende con una cultura industriale molto diversa dalla nostra. Noi siamo una famiglia che sta dentro l’impresa, mette le mani nella produzione. Non guardiamo le aziende su fogli excell. Posso dire che adesso, da due anni a questa parte, siamo finalmente una realtà unica: “Noi Sammontana”. Personalmente ora conosco tutti coloro che lavorano nei vari siti produttivi. Chi va a parlare con fornitori e clienti deve dire le stesse cose, usare lo stesso linguaggio. Tutte le nostre imprese devono conoscere la nostra famiglia e il suo approccio.

sammontana nuovoAvete anche razionalizzato la produzione.

Abbiamo venduto i panettoni e biscotti del marchio Tre Marie a Galbusera, restando proprietari delle altre merceologie. Chiuso alcuni stabilimenti e ricollocato altrove i dipendenti. Ridotto la nostra esposizione finanziaria, che era nettamente cresciuta dopo l’acquisizione del 2008. Ma soprattutto abbiamo investito cifre importanti nell’innovazione, circa 15 milioni all’anno. Il nostro reparto interno di Ricerca e sviluppo prende letteralmente in mano attrezzature e macchinari che acquistiamo e li riadatta per la produzione di croissanterie congelata e gelati. Oltre 50 persone si occupano di qualità in azienda. Questa impostazione ci consente di mettere l’innovazione al centro della nostra attività.

Come affronta Sammontana le sfide dell’automazione?

Fra dicembre e gennaio, utilizzando le opportunità offerte dal Piano nazionale impresa 4.0, abbiamo raddoppiato gli investimenti in innovazione. Quello del Governo è un buon provvedimento perché unisce due principi: l’abbattimento dei costi produttivi e un innalzamento della qualità del prodotto. Abbiamo introdotto macchinari orientati alla predizione dei guasti, attraverso una “allerta” trasmessa al sistema informatico. Le nostre macchine producono circa 24mila pezzi all’ora (prima arrivavamo a 18mila), immagini l’importanza che ha un meccanismo del genere nel prevenire un blocco della produzione. Tutti i macchinari sono fortemente automatizzati, ma nel momento iniziale, quando si “crea” l’impasto, c’è l’occhio umano che controlla. Questo trattamento di materie prime vive – farine, lieviti – nessun robot potrà farlo mai…

sammontanaSammontana esporta appena il 3% del fatturato, tutto il resto è mercato interno. Queste percentuali cambieranno?

Effettivamente è un limite della nostra attività. Auspichiamo una crescita, ma il mercato internazionale del gelato è difficilissimo, perché già presidiato ovunque da multinazionali del calibro di Unilever e Nestlè.

Quali sono le principali debolezze competitive del nostro Paese sui mercati esteri?

La forza del sistema Italia è anche la sua debolezza. Nel nostro Paese prevale un imprenditore vecchio stampo, pienamente coinvolto nella produzione. Questo dà una minore propensione a diversificare, ad aprire il capitale all’esterno. Questa caratteristica è al tempo stesso un pregio e un difetto. Siamo imprese solide, con grande potenziale (soprattutto nella moda e nell’agroalimentare) ma non riusciamo a diventare grandissime, se escludiamo alcune felici eccezioni come Barilla o Ferrero.

Nella vostra impresa a conduzione familiare, quale ruolo attribuite al manager?

Il manager e la sua formazione per noi è la chiave di tutto. Ci diciamo continuamente che il processo di formazione in azienda non finisce mai. Abbiamo assunto una psicologa per aiutare le persone a scoprire il proprio potenziale e migliorarsi. Questo non solo per i manager, ma anche per gli operai. Poco tempo fa c’è stato l’esempio di un giovane assunto come operaio in azienda che studiando è diventato ingegnere. Gli abbiamo dato l’opportunità di svolgere la professione per cui aveva sudato anni. E’ giusto dare delle chances a persone così, e mobilità verticale a chi è cresciuto in azienda. Compito dell’imprenditore è scegliere i collaboratori, oltre fare un sacco di altre cose. La chiave è circondarsi di persone di valore che spesso, badi bene, non sono degli Yes men, ma hanno anche il coraggio di opporsi e di dire di no.

Foto in alto: Leonardo Bagnoli

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