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L’Europa alle Termopili Opinion leader

Il risultato del referendum in Grecia con la vittoria del “NO”, si dice, abbia aperto, e forse è vero, come ha anche affermato il Presidente della BCE, Mario Draghi, una porta sull’ignoto. O forse lo pensano coloro che, ormai, concepiscono il mondo ed il pianeta, come un diagramma di Excel in cui, se si spostano le colonnine dei conti economico finanziari, i risultati perdono la loro immutabile e fredda verità.

Proviamo, invece, ad analizzare il fenomeno da un punto di vista diverso, ovvero storico, politico, sociale ed ideale, dando una dimensione anche spirituale alla reazione di un Popolo, quello Greco, ormai sul lastrico.

Per certo i governi greci che si sono susseguiti fino ad oggi, sono da ritenersi responsabili di una politica scellerata, basata sullo sperpero delle risorse pubbliche a vantaggio di un sistema clientelare e di corruttela, capace solo di ingrassare i bacini elettorali. Praticando una politica fiscale ed anche sociale che non avrebbe potuto reggere il confronto con un tessuto economico assai scarso e fondato essenzialmente sul turismo.

Ma, si badi bene, è ciò che è accaduto anche nel nostro paese, ancora attraversato dai brividi di un sistema di malaffare che ha visto lo sperpero di denaro pubblico con la compiacenza e l’interesse di uomini politici, imprenditori, funzionari e dipendenti pubblici, dediti alla malversazione ed alla corruttela.

E’ certo, quindi che, non solo in Italia ed in Grecia, ma in genere nell’Europa, il Welfare, ovvero lo Stato sociale, è stato gestito in modo a dir poco maldestro ed inoculato, generando sprechi, privilegi, corruttela e clientelismo spicciolo. Uno strumento in mano ai politici di turno che ne hanno fatto un uso a dir poco personalistico ed efferato per ingraziarsi ed alimentare un elettorato di favore. E non v’è dubbio che, in tal senso, abbia perduto la sua “matrice storica” di strumento di riequilibrio sociale, solidarietà e di sostegno.

Se ciò è vero, tuttavia, può essere spontaneo domandarsi, cosa c’entra questo con il referendum svoltosi in Grecia. O meglio che cosa c’entra questo con il “Patto di stabilità”, con la “costituzionalizzazione” del “Pareggio di Bilancio”, con il dovere di ogni stato di mantenere in ordine i conti pubblici.

Ebbene, poiché la storia non è un fotogramma, sbiadito nella sua immutabilità, ma è un costante e mutevole divenire umano, per comprendere il legame logico che lega le argomentazioni, credo si debba fare proprio ricorso al suo dinamico divenire; come sempre traendone gli insegnamenti che ci permettono di leggere o reinventare un futuro che riteniamo migliore.

Retrocediamo, dunque, al 2013 allorché la banca d’affari JP Morgan in un report dei propri analisti, ricordato da Gustavo Zagrebelsky in una sua pubblicazione, assume che i sistemi politici sviluppatisi dai paesi del sud dell’Europa, all’indomani della caduta delle dittature, si sono caratterizzati per una influenza dell’idea “socialista” che ha determinato, da parte degli stessi, l’adozione di riforme economiche e fiscali solo parziali. Impedendo perciò una sufficiente integrazione con il sistema economico più allargato.

Nella sostanza, è la stessa affermazione proferita da un giornalista tedesco del Frankfurter Allgemeine che, nel corso di una intervista a Sky TG24, tenutasi nel giorno del referendum greco, nel lamentare la scelta del “NO” greco come un errore grave, ha inteso sottolineare la debolezza dei paesi del sud dell’Europa.

Il fatto è che non è una coincidenza. Al contrario è l’espressione di una certa avversione verso quei sistemi politici che hanno improntato la loro idea di società nell’alveo dello “Stato sociale”, elevando a matrice culturale il valore della individualità libera accompagnata dalla solidarietà e della fratellanza. Ovvero individualità contemperata dalla consapevolezza dei doveri sociali.

Quel binomio tutto umanistico, denso di spiritualità, che più che mai, oggi, è sotto scacco da parte di un sistema, quello finanziario-speculativo, che sta rapidamente destrutturando e disgregando le individualità, e che mal soffre le regole dello “Stato di Diritto”.

Un violento attacco alle matrici storiche dell’Europa dalla quale, unitamente alla parte più sana della società americana, sono nate le idee universalistiche che hanno caratterizzato le spinte libertarie e solidalidaristiche dell’800. Le stesse idee che hanno sognato e prefigurato la costruzione dell’Europa dei popoli e degli ” Stati Uniti d’Europa”.

La crisi della Grecia ed il desiderio di “metterla fuori”, dunque, sembra più che mai collocarsi nel solco di una insofferenza verso la matrice “solidale” dell’Europa, costringendo quei paesi che la praticano a piegarsi ai supremi interessi economico finanziari di chi non ha a cuore lo sviluppo economico-produttivo di una area geografica, ma intende piegarla ad un “modello sociale” che non ha a cuore il destino degli uomini.

La reazione del popolo greco, è dunque un atto di disperato coraggio, nella volontà di difendere la propria cultura e quell’idea di libertà di cui l’Europa le è storicamente debitrice. E’ il segno che questa Europa non è quella immaginata e prefigurata dalle idee libertarie e solidali dell’800, ma è l’icona di una politica ormai ingoiata dai sistemi economici e finanziari.

E’ da questa reazione, quindi, che deve partire la spinta verso la costruzione degli Stati Uniti d’Europa, unica soluzione possibile per contrastare, con le nostre radici culturali, e le nostre idealità, l’idea distorta di una società deregolamentata, individualista, priva di solidarietà sociale e priva della difesa della individualità come ricchezza umana, economica e sociale.

In tutto questo ciò che più colpisce è che, in vista del referendum greco, nessun capo di governo dei paesi dell’eurozona, ha inteso riconoscere e rivendicare che, ormai, l’unica via d’uscita per risollevare le sorti della Grecia e degli altri paesi, è quella di costruire una Europa Politica fondata dai popoli sovrani. E non sugli Stati sovrani.

E più che mai mi rammarica il fatto che il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, abbia inteso esternare la sua contrarietà verso il voto popolare greco, prendendone le distanze, per brandire, per meri interessi elettorali di bottega, il pericolo dell’avanzata dei movimenti anti europeisti come la Lega ed i Grillini. Per poi, nel suo perfetto stile opportunista, furbesco e farsesco, recarsi dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel appena il giorno prima del referendum, per riferire che occorre mutare i rapporti europei rivedendo il patto di stabilità. Come se la soluzione fosse solo quella di far tornare gli Stati a spendere!

Ha così mostrato tutti i suoi limiti ideali, facendo emergere la solita furbizia italiana nel vedere allentato il patto di stabilità per continuare ad operare nella vecchia ed obsoleta politica del consenso.

Al contrario e come capo del Governo Italiano, culla dell’ideale europeo, avrebbe dovuto gridare a gran voce che, da oggi, l’Europa non può che federarsi in un sistema organico di popoli, rendendo onore alla storia Italiana ed a quella dei paesi che ne hanno da sempre disegnato i confini. Ma no!

Sarebbe stato troppo bello che il nostro Premier si fosse scomodato ad immaginare nuovi modelli sociali che diano ragione delle nostre radici, limitandosi volgarmente ad augurarsi che cambino solo gli equilibri finanziari. Una vera povertà ideale che svilisce più che mai ogni ansia di vero cambiamento, rafforzando più che mai, suo malgrado, quei movimenti anti europeisti che oggi si sentono vincitori.

Come fa a non comprendere, come gli altri Premier, che solo una svolta Europea sul piano politico ed Istituzionale, e non solo economico, è la sola medicina che può neutralizzare l’involuzione verso gli Stati 800enteschi, rivitalizzando i valori storici dell’Europa. Come può assecondare quell’idea distorta di Europa che JPMorgan ed un certo tipo di cultura speculativa intendono impiantare e votata alla deregolamentazione ed al (mutuando un termine “Cattolico”) relativismo dell’egoismo sfrenato.

Quella idea di Europa è stata oggi sconfitta. Così come oggi è stata sconfitta l’idea di Europa delle Banche tedesche e della Cancelliera Merkel, abituata ad immaginare un federalismo, governato dai “Laender” più potenti, in netto contrasto con il libero federalismo degli Stati Uniti d’America in cui tutti i soggetti federati sono rappresentati paritariamente e con il medesimo peso.

L’Europa avrà un futuro solo se riuscirà a costruirsi nel solco della sua storia, non accettando di scambiare il proprio modello sociale con quello scellerato della finanza speculativa che soffoca l’individualità imprenditoriale, quella solidale e quella spirituale.

Ecco allora che la Grecia non si è ribellata alla richiesta di una diversa, migliore e virtuosa gestione dello Stato Sociale, ma si è ribellata a chi intendeva soffocare quella individualità contemperata dalla consapevolezza dei doveri sociali che la nuova economia della speculazione, mascherata da rigore, intende trasformare in un nuovo ordine politico e sociale in Europa.

E lo ha fatto come Leonida alle Termopili, in trecento, contro una “falsa Europa” che, nel mito del nuovo ordine, intendeva piegare la sua conquistata libertà ai voleri del “divino Serse”.

Più che mai aveva ragione Altiero Spinelli che già prefigurava il futuro dei paesi europei in cui non vi sarebbe più stato il conflitto tra chi avrebbe inteso fare riforme più o meno sociali, o più o meno liberali, ma esso si sarebbe spostato tra chi vuole costruire un’Europa unita e chi invece avrebbe inteso tornare agli Stati nazionali nel desiderio di esercitare il dominio sugli altri.

E allora onore a Leonida e viva gli Stati Uniti d’Europa.

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