
Firenze – Quello che si è visto ieri sera alla ‘prima’ del Pelleas e Melisande, nuova produzione e ultima opera in programma al Festival dl Maggio Musicale Fiorentino, ricorda molto alcuni memorabili spettacoli di qualche lustro fa, quelli che hanno reso il festival fiorentino una manifestazione tra le più prestigiose del mondo. Difficile attribuire categorie di merito ad uno spettacolo che in ogni sua parte è apparso cesellato alla perfezione.
Ma per andare con ordine prima bisogna partire dalla musica. Il maestro Daniele Gatti, sul podio, ha padroneggiato la partitura, che costò a Claude Debussy 7 anni di lavoro, dal 1893 al 1901 e che è rimasta un unicum nella sua produzione, dando rilievo alla sua dimensione cameristica, così il suono traslucido, le atmosfere evocative, la poetica del non detto, appaiono quasi in controluce nel puntuale traforo dell’elegante timbrica strumentale. Un continuum che si dipana tra gli interludi orchestrali a sipario chiuso, veri momenti di conversazione e di commento lirico, ed il canto vero e proprio, modellato sugli accenti di un francese in prosa, tratto nella sua quasi totalità dall’omonimo dramma di Maurice Maeterlinck.
Monica Bacelli, mezzosoprano di fama internazionale, con la sua voce morbida e la timbrica umbratile, variegata di naturali chiaro scuri, è interprete ideale per un personaggio sfuggente e misterioso come Melisande che una recitazione sapiente e ben calibrata trasporta lontano dallo stereotipo della donna passiva e un poco melensa, per farne il centro narrativo dell’intera vicenda, vestale di un destino avverso. I due coprotagonisti maschili sono il tenore palermitano Paolo Fanale, un Pelleas giovane, dotato di un’eccellente tecnica vocale e il Golaud di Roberto Frontali che invece disegna un personaggio forse eccessivamente angoloso e aggressivo, mentre Silvia Frigato interpreta con voce limpidissima l’acerbo e ambiguo ruolo di Yniold che viene sospinto dal mondo degli adulti oltre il limite anagrafico dell’innocenza fanciullesca.
Con una felice intuizione Daniele Abbado e Gianni Carluccio, regista e scenografo, hanno inventato per questa produzione, un enorme doppio anello come visto da una prospettiva ovalizzante che domina il palcoscenico del teatro dell’Opera di Firenze e che si scompone, si allarga, si colora con magnifici effetti scenografici. Un elemento di forte impatto visivo che suggerisce allo spettatore tutta un’infinita gamma di simbologie e diventa magicamente, nel secondo atto, vera di pozzo, che riflette un albero rovesciato (citazione affettuosa di Luca Ronconi?) nel quale sprofonda l’anello di Melisande. Uno spettacolo che resterà nel cuore dei fiorentini e a cui il pubblico presente in sala ha tributato calorosi e prolungati applausi.