Mostra alla Cartavetra: l’universo sonoro di Marco Mazzi

Firenze – La galleria Cartavetra in via Maggio presenta la personale del fiorentino Marco Mazzi fino alla fine di dicembre 2021. L’artista, in compagnia della gallerista, Brunella Baldi, racconta ciò che ha ispirato i suoi lavori e il suo personalissimo linguaggio artistico.

Marco Mazzi come e quando è nata questa mostra?

Questa mostra è nata tre anni fa circa. Insieme a Brunella Baldi abbiamo iniziato a vedere i primi 4 o 5 quadri, sempre con questa tonalità grigia e colpi di bianco. L’idea era quella di suggerire le variazioni e la percezione del suono. Per me il bianco non era un colore ma era una frequenza. Così come un musicista può utilizzare la frequenza più alta o più bassa, la variazione del colore poteva essere più alta o più bassa in relazione al bianco. Più si va verso il bianco più la frequenta è alta. Questa era un po’ il tema della mostra. In certi quadri si percepisce la descrizione di un brusio, frequenze basse e alte, ombre e luci si diffondono.  In un altro quadro, dove maggiore è il bianco che copre tutta la superficie sembra come se ci fosse un sibilo acutissimo. Grigi e bianchi potrebbero essere le modulazioni del suono”.

Il titolo ha un riferimento musicale…

L’universo sonoro, il titolo della mostra, vuole significare una rappresentazione emotiva del suono, anche basata su una conoscenza del suono, delle frequenze e delle basi della composizione musicale. Vorrei aggiungere che mentre stavo facendo questi quadri mi sono anche interessato alla musica contemporanea. Ho realizzato io stesso delle composizioni di tipo elettronico “noise” e soprattutto mi interessavano particolarmente tre musicisti. Sono toscani: Pietro Grossi, a cui ho dedicato un quadro, Pietro Riparbelli,  a cui ho dedicato un altro quadro e Daniele Lombardi, scomparso recentemente”.

Sembra che ci sia anche una componente spaziale… cambia la dimensione dello spazio…

Certo. Perché anche questa è una delle qualità del suono. Parlo di suono non riferito solo alla musica, ma di suono come installazione sonora, come lavoro sulla sonorità. Il suono agisce sullo spazio. L’ambiente cambia in rapporto al suono e ha una relazione con la lettura dello spazio”.

Marco lei è musicista?

Lavoro con il suono, non mi considero musicista, ma un sound artist. Lavoro molto con registrazioni ambientali tipo i suoni di field recording. Possono essere elettrodomestici, cantieri, suoni di strada. Li registro, e poi li rielaboro. Talvolta utilizzo delle tecniche di sintesi del suono che creano delle melodie. Però non sono musicista di formazione, così come non sono pittore di formazione.  Diciamo che lavoro sul colore e sul suono”.

Usa il suono come fa arte…

Credo di avere un approccio sinestetico. Per me il bianco, non è solo un colore della tavolozza, ma rappresenta una frequenza. Quando uso il bianco è come innalzare il livello del suono. Andare verso le tonalità alte. Tutte le volte che uso una tonalità grigia è come se andassi verso un tappeto basso sonoro”.

Come è arrivato all’arte?

Fin dalla nascita ho sempre avuto un grande amore per le immagini. In tutte le loro forme. Anche le immagini letterarie.  Se leggo un romanzo ho molta facilità a visualizzare quello che viene detto e scritto. La stessa poesia può avere grandi immagini. Non ho mai seguito il sogno di fare l’artista, ho l’istinto di generare immagini. Mi considero un creatore di immagini”.

Lei ha vissuto per tanti anni in Giappone. Come l’ha influenzato?

Il Giappone è fondamentale nella mia formazione. Là ho scoperto la fotografia. Effettivamente in Giappone c’è una grande cultura fotografica: Anche dei fotografi amatoriali hanno un’attenzione e tanta  cura per le fotografie e stampano da soli. Ho conosciuto fotografi che sanno sviluppare da soli il colore. Difficilissimo! Quello che mi ha colpito dell’arte giapponese, è che cercano di identificarsi in quello che non si sa, a differenza dell’arte occidentale dove l’artista si identifica in ciò che conosce, per esempio, per dipingere una deposizione si fa di tutto per conoscere la scena e renderla più verosimile possibile. In Giappone c’è un livello di realizzazione della forma diverso. Si percepisce anche nella letteratura giapponese. Sono scene staccate da un contesto. Credo che questo mi abbia influenzato”.

Brunella Baldi lei che ha ospitato la mostra, che sensazioni prova con queste opere in galleria?

Ho il privilegio di poter scegliere i quadri e soddisfare il mio senso estetico circondandomi della loro bellezza. Sono particolarmente felice di ospitare Marco, perché ho iniziato a seguirlo prestissimo. Ha partecipato a vari eventi di galleria e ho visitato diverse volte il suo studio. I suoi paesaggi e i suoi giardini mi riempiono di curiosità e anche di piacere. Riguardo ai lavori di Marco, sono affascinata dal fatto che dipinge con le mani per non perdere il ritmo della musica”.

 

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