
Firenze – Vernissage –Finissage; Vernissage: Accademia delle arti del disegno : era l’8 ottobre 2015 alle ore 17; Finissage: Spazio Occupato la Polveriera: era lì 8 ottobre 2015 alle ore 19; (Finissage fino a un certo punto : per chi lo desidera i quadri sono ancora allo studio di Cacciarini , al Palazzo dei Visacci )
Basterebbero queste date, o meglio queste ore, per suscitare l’idea di un presente continuum, imprendibile, che poi è la nostra vita. Sicuramente la vita di Gianni fra due momenti che sembrerebbero di non toccarsi mai: i tre nobili cerchi intrecciati dell’antica e severa Accademia, al calcio finale .-. si fa per dire.-. a quegli allori , nello “Spazio occupato della Polveriera”. In effetti fin dall’inizio c’è stata una disciplina severa e costante nella biografia artistica di Gianni Cacciarini, che ha lasciato un’ impronta indelebile pur nella decisione di lasciar posto a una fantasia più sbrigliata, allontanare l’ossessione di quel ‘segno’ che solo la mano guidata dall’intelletto può tracciare, per tuffarsi in un mare liquido di colore e di luce che duri l’espace d’un matin anche in senso reale : poche ore per chi vorrà guardare. Ma andiamo con ordine.
Cacciarini si forma come architetto, formazione sottesa nei decenni a tutta la sua produzione d’artista, ma soprattutto inglobata alla sua attività di incisore: cancelli di antichi giardini, muraglie, vegetali, fabbriche, edifici perfetti nella loro logica costruttiva. Che continua ad agire nel pittore di macchine e vecchi arnesi di ogni genere, posizionati con una logica che non deflette .-.anzi.-. nel lanciare un nastro rosso di traverso nello spazio, o posare frutti come cere, memoria di antiche pitture della grande ‘maniera’ fiorentina.
Ma è soprattutto nelle ardite prove di figura che il Pittore, educato alla prospettiva architettonica, sintetizza il suo sapere . Forse troppo. Alla fine una pausa ci vuole e fra viaggi all’estero (sempre di ‘formazione’, per chi non è sciocco e a qualunque età); cinema fruito come se Gianni stesso, spettatore, avesse in mano quella macchina da presa, ma anche come puro diletto, insieme alla musica; e i roseti di Lattaia (la casa di Maremma sua e di Daniele Cariani).
Alla fine ecco sbocciare le rose anche sulla tela. Rose che catturano lo sguardo perché dimentiche di ogni cosa che non sia luce e colore. Memorie tante : dalle lontane Americhe a Da De Pisis, a Boldrini e forse Peyron. Ma l’artista non si lascia sedurre dalla spontaneità: ci sono zone di colore, colature, forme vere proprie degli antichi amori: presenti e dispersi sulle scaffalature dell’atelier del pittore, ma sempre presenti, mai dimenticati.
Certo c’è stato un lungo percorso interiore dell’artista e dell’uomo che non è dato più di tanto scandagliare. Ma in una breve conversazione fra noi , coetanei , una sua riflessione mi ha colpito: sappiamo che tutto finisce eppure qualcosa ci spinge ad agire con passione, come se si ignorasse questo fatto. Che sarà….Mi verrebbe da dire che forse questa è l’unica prova seria di quella che alcuni chiamano immortalità dell’anima, di cui l’arte, certo, fa parte.
Foto: www.pananti.com