
Firenze – Io resto a casa. Come tutti, come quasi tutti. E resto a casa perché devo: per non infettarmi, non infettare parenti, genitori, nonni, figli, vicini, colleghi. Ce lo hanno correttamente spiegato in mille modi. Così, chi più impaurito chi un tantino più sgomento, ce ne stiamo tappati in casa o in fila con la nostra unica razione d’aria, a debita distanza, davanti a supermercati, farmacie, edicole. Mascherati e silenziosi, spesso anche guardinghi.
A volte ci scopriamo perfino diligenti. Noi. Popolo di santi, poeti e navigatori. Noi, oggi poco navigatori ma pur sempre poeti e molto più santi di ciò che forse immaginavamo Già, perché diciamolo. E diciamolo senza timore che qualche sindaco-tribuno venga a rincorrerci perfino in camera da letto. Non siamo nei parchi e nei giardini, non siamo a vagabondare per le strade, non siamo a far festa nei supermercati. No. Non lo siamo checché qualcuno voglia farci credere il contrario.
Basta guardare le immagini delle tv: strade e città deserte, monumenti silenti e solitari, notti da coprifuoco. Ma se le immagini potrebbero ingannare, allora affidiamoci ai numeri. Non quelli sparati a vanvera. Quelli veri. Allora scopriamo che dal giorno del primo decreto di limitazione al 22 marzo (dati del ministero degli Interni) ci sono stati circa due milioni di controlli e centomila sono state le denunce. Il 5%!
Ohibò. E gli assembramenti? I furbetti del parco? I delinquenti della passeggiata? Mah. Spariti o quasi. I numeri ci raccontano un’altra storia. Ci raccontano che la stragrande maggioranza di italiani, da Ragusa a Bolzano, da Ventimiglia a Trieste, i divieti li rispettano eccome. Li rispetta quel 95% di controllati che sono fuori per lavoro, necessità o urgenza, mentre solo il 5% se ne va in giro senza giustificazione. Se nel nostro Bel Paese, in condizioni normali, solo il 5% commettesse violazioni di ogni genere e grado, i giudici di colpo si ritroverebbero in cassa integrazione per il crollo improvviso di processi e contenziosi. Eppure… Eppure c’è chi non perde mai occasione di urlare nel drammatico silenzio di questi giorni bui.
Nei nostri sonni, già un tantinello disturbati, irrompono come incubi feroci mostri a più teste che ci intimano minacciosi di restare a casa. “A casa, brutti delinquenti e untori! A casa, a casa!”. Devi portare il cane fuori? “Sei un furbo”. Sali in macchina perché devi andare per forza al lavoro e magari sei anche un infermiere-eroe che va nella sua trincea d’ospedale? “Troppi in giro”. Un operaio che va a produrre beni di necessità? “Troppi, troppi, sempre troppi”.
Oltre ai giusti e sacrosanti inviti, sul web come nei condomini, rimbalzano improperi e contumelie dalle sfumature più variegate. E nel mirino ci finiscono in tanti… il runner come il pizzaiolo, il proprietario di cani come il genitore che non sa più dove poter fare prendere mezz’ora d’aria al suo bambino. Ci finisce l’anziano “sorpreso” a raccogliere asparagi nel bosco e per questo multato e chi va anche solo al supermercato.
Ma il peggio non è questo. E’ che a volte a dare la stura al bailamme sono signori in fascia tricolore che imperversano a tutte le ore in tv, twitter e facebook scagliando ovunque i loro droni e lanciafiamme. Un grande show quotidiano fatto di tuonanti “Qui comando io!” (come se non ci fosse altra autorità all’infuori della loro), “Qui non si passa!” (quando invece alla fine passano tutti semplicemente perché ne avevano diritto altrimenti finivano denunciati), “La mia ordinanza vale più della tua” (quando la legge e soltanto la legge può comprimere certe libertà fondamentali del cittadino).
Che onore può mai dare al tricolore, tanto più nella grave situazione di emergenza nazionale, un sindaco che pubblicamente, a favore di taccuini e videocamere, manda ripetutamente e sguaiatamente a quel paese il ministero degli Interni, tacciandolo oltretutto di essere “imbroglione e impostore” (sic!). Per la cronaca quel sindaco, Cateno De Luca da Messina, è stato subito denunciato dal ministro Lamorgese.
Ma non pago il prode Cateno ha fatto sapere a strettissimo giro: “Ci vediamo in Tribunale, se sarò condannato a pagare una multa pagherò”. Insomma, fate fate, ce la vedremo. E giù applausi di quanti si riscoprono improvvisamente così attaccati alla propria terra e ligi agli ordini dell’autorità. Al punto da definire “criminali” e “infami” (solo per citare qualche grazioso epiteto) cugini, figli, parenti in fuga dal Nord impauriti e spesso a corto di denaro. “Se ne vanno al Nord e poi ci portano il contagio”.
Come se questo esercito di lavoratori, insegnanti precari, contratti a termine, fosse emigrato dalle proprie terre per diletto e non per cercare uno straccio di lavoro chimera al Sud. Ma tant’è. Buttiamo piuttosto nello Stretto gli untori. Non importa che chi passa ha diritto di passare e dovrà fare i 14 giorni di quarantena prescritti. Magari fra quella gente c’è anche un medico o un operaio pendolare per necessità. Magari.
Ma non importa. Importano i proclami. Quelli che fanno subito audience. Così il medesimo primo cittadino messinese, incurante dell’ultimo decreto legge che vieta espressamente ai sindaci, pena inefficacia, di emanare ordinanze in contrasto con quelle dello Stato che cosa fa? Chiude tutto quanto gli capiti a tiro: ferramenta, ottici. Cioè quelli che un decreto del presidente del consiglio dei ministri lascia invece aperti perché considerati di necessità. Appena più in là, a Gioia Tauro, nella fregola di sbarrare tutto, un altro sindaco ha finito per chiudere la domenica anche le edicole. E’ toccato al prefetto del luogo, a danno fatto, intervenire ordinando ovviamente e legittimamente la riapertura dei giornalai.
Un elenco purtroppo in continuo aggiornamento. Che cosa fa il presidente della Regione Campania, De Luca anche lui, ma da Salerno? Un attimo dopo l’entrata in vigore dell’ultimo decreto legge che ridefinisce limiti, divieti e competenze, firma un’ordinanza che proroga le restrizioni dal 3 aprile al 14 aprile. Lo firma il 27 marzo. Orbene perfino i bambini dell’asilo e i muri sanno che ragionevolmente la data del 3 aprile sarà prorogata su scala nazionale. Ma De Luca da Salerno non sta nella pelle. Giusto per non andare in crisi d’astinenza trova il tempo, come se non ne servisse già abbastanza da dedicare all’organizzazione sanitaria del territorio, di sfornare una nuova bella ordinanza da incorniciare che proroga ciò che quasi con certezza verrà prorogato.
Restiamo dunque a casa. Certo che restiamo a casa. Ma vorremmo stare a casa sapendo che uno Stato c’è, da Ragusa a Bolzano, da Ventimiglia a Trieste. Senza il pensiero di doverci districare fra provvedimenti che si affastellano senza tregua uno sull’altro in una gara senza fine al chi ce l’ha più duro. Quel che si può fare a Firenze non si può fare a Napoli, si può andare con il cane in prossimità dell’abitazione in Toscana, entro 200 metri in Veneto (tralasciamo i centimetri), a Messina qualche categoria di negozio viene chiuso e a Catania no. E’ evidente che il rischio è la confusione. Qui di assembramenti pericolosi se ne intravedono altri e molto gravi: il fai da te dell’ordinanza e lo sfregio della Costituzione. Già, teniamo a distanza anche quella.