
Firenze – Slitta il termine per presentare le firme per le candidature alle prossime elezioni regionali al 27 marzo, ma non per questo si fermano i colpi di scena, che, anzi, continuano a susseguirsi, anche se in casa del Pd pare proprio che gli assetti comincino a prendere forma.
Partiamo dal passo indietro di Daniela Lastri, che ha annunciato venerdì scorso il suo ritiro dalla tenzone. Varie le motivazioni addotte, che tuttavia non sgomberano il campo dalle domande che continuano a porsi in molti, anche (o meglio, soprattutto) dentro il Pd: dando per certo che la rielezione di Lastri fosse abbastanza scontata (non è un mistero che la consigliera uscente ha come suo patrimonio personale un buon gruzzolo di voti derivanti dal suo ruolo di assessore all’istruzione condotto con riconosciute capacità, che la accompagnano da tempo), il suo sottrarsi da molti viene interpretato come un atto che ha di mira qualcosa ancora non del tutto svelato, tant’è vero che alcune voci la darebbero in “osservazione” per quanto riguarda l’evoluzione che si sta sviluppando a sinistra del Pd. Non solo nella sua componente interna, ma anche al di fuori, magari sulla scia di quella “cosa” di landiniana fondazione che potrebbe impensierire, una volta definitane la natura, anche la stessa minoranza di “sinistra” interna del Pd.
Al di là delle motivazioni della consigliera regionale uscente, tuttavia questa mossa muta alcuni equilibri. Ad esempio, è innegabile che il venir meno di Lastri conduca tutta quella fetta di voti cuperliani che vedeva nella sua storia politica (provenienza Ds e opposizione alla maggioranza renziana del partito) una garanzia e un riferimento, a riversare il proprio appoggio su Andrea Barducci, l’ex presidente della provincia che insieme a Lastri aveva formato la “coppia perfetta” dell’opposizione di minoranza. Anche perché a questo punto, nel gioco di coppia che conduce la scelta dell’alternanza uomo-donna nelle candidature, manca la “donna”; ruolo che non può venire assunto, come sembrano pensare alcuni, da Marta Rapallini, presidente dell’Istituto Gramsci Toscano, dal momento che la sua appartenenza nelle divisioni interne di partito è sì di minoranza, ma la minoranza dei giovani turchi, vale a dire “la minoranza della maggioranza”. Al di là dei giochi di parole, nicchia di voti molto diversa da quella di cui gode Daniela Lastri.
In questa alea determinata dalla decisione di Lastri, potrebbe assumere un significato diverso la vicenda dei civatiani. Sembra che anche per la corrente che fa capo a Pippo Civati, le cose possano ingarbugliarsi. Se da un lato infatti è vero che le firme per far correre la candidatura di Jacopo Ghelli, referente storico e della prima ora di Civati in Toscana, sono già state raccolte e devono essere presentate, è anche vero che pare si stia preparando una discesa in campo, sempre nel nome di Civati, di un altro candidato, donna. Un dissidio interno alla minoranza civatiana che rischia di mandare all’aria il significato stesso di una candidatura fiorentina della corrente che fa capo al leader di Milano. Che però potrebbe giocare un ruolo importante per la parte renziana, tant’è vero che, secondo alcuni, la manovra sarebbe avvallata dal segretario provinciale del Pd Incatasciato. Prova ne sia che si porrebbe, per la nuova candidata, un problema di firme: i civatiani “riconosciuti” hanno firmato in parte per Ghelli (che infatti ha raccolto a tempo di record le firme necessarie), in parte, la parte che non era convinta della candidatura ghelliana, avrebbe sottoscritto la candidatura Barducci. Dunque, secondo i rumors dal partito, le firme per la nuova candidata potrebbero essere trovate non fra i civatiani, per mancanza di numeri, o almeno non tutte fra i civatiani. A che pro questo armeggio? Per ripristinare l’equilibrio incrinato dalla “fuga” di Daniela Lastri: così facendo, i due candidati dell’opposizione (sugli otto “posti” di cui si parlò la volta scorsa) sarebbero salvi, senza dover “subire” il … terzo incomodo.
Se le condizioni della “minoranza” possono forse ancora subire qualche modifica, di certo c’è l’entrata in gioco della coppia che possiamo definire “di Palazzo Vecchio”, vale a dire Bieber-Meucci. Del primo si può solo dire che, dopo svariato tempo passato nelle fila della maggioranza renziana, ha probabilmente deciso di uscire allo scoperto guadagnando gli speroni di cavaliere. Stando ai bene informati, sembrerebbe si sia fatto avanti anche per quanto riguarda il posto in giunta comunale che verrà lasciato vacante da Elisabetta Meucci, vale a dire quella poltrona all’urbanistica che rappresenta un ambito e potente posizionamento nell’organigramma della gestione politico-amministrativa cittadina, tranne che la proposta che gli sarebbe stata fatta in cambio potrebbe essere stata quella di un appoggio forte (invece) sulla candidatura regionale. Resta così da capire chi subentrerà nella poltrona tuttora di Meucci, che a sua volta sembrerebbe intenzionata, negli scorci del mandato, a terminare l’ingente lavoro del regolamento urbanistico tagliando essa stessa il nastro d’arrivo, a coronamento di un faticoso e importante lavoro tecnico e di mediazione politica. Del resto, secondo i rumors interni, la poltrona di Meucci in Comune sarebbe stata “ipotecata” da una donna, per realizzare un passaggio tutto al femminile.
D’altro canto, parrebbe che la scelta di fare correre Titta Meucci alle regionali sia legata anche a un altro profilo, vale a dire, contrastare il potere di Stefania Saccardi, che ora come ora si presenta come la più “forte” dei candidati in lizza. Naturalmente lasciando da parte Eugenio Giani, che, come argutamente osserva qualcuno, “è più gianiano che renziano”, vale a dire ha una dote di preferenze e relazioni che dovrebbero metterlo in una posizione piuttosto tranquilla, al netto delle strutturali incertezze della politica. E magari in attesa come più volte detto, di partirsene per Roma. Nella logica di “bilanciamenti” interni, l’attuale assessore comunale potrebbe dunque fungere da contrappeso al sempre più forte ruolo dell’attuale vicepresidente regionale. Tanto da, come già qualcuno configura, prefigurare un suo ruolo di peso nella prossima giunta toscana che sarà con ogni probabilità a maggioranza renziana. Un assessorato? Può darsi, e chissà che non sia quello a lei più congeniale, vale a dire la poltrona ora occupata dalla Marson, ipotesi d’altro canto già più volte preannunciata sui giornali. Un ruolo che potrebbe attagliarsi all’assessore all’urbanistica fiorentina sia per competenza, che per capacità gestionali amministrative, sia per quel savoir-faire politico che gli consente di riscuotere comunque un certo consenso trasversale nella stessa base votante del Pd.