
Firenze – Non c’è salvezza per i puri di cuore. O meglio: può conquistare la salvezza da solo, mettendo alla più dure delle prove la sua capacità creativa e immaginifica. Il salvataggio con happy end di Florestan, il prigioniero del Fidelio, è un’eccezione che conferma la regola. Così come la conferma pienamente la tragica beffa finale del prigioniero di Dallapiccola che pensa di essere salvo ed è portato al rogo dopo essere stato abbracciato dall’inquisitore, comprendendo nell’estremo attimo di coscienza che l’unica libertà possibile è quella del morire.
Anche ad Alexandros Alekos Panagulis, prigioniero per anni in una segreta dei colonnelli greci soprannominata “la tomba”, fu concesso solo un modesto rinvio: morì in un incidente stradale sulle strade di Atene, che un’inchiesta indipendente appurò essere stato provocato dagli assassini due anni dopo la sua liberazione.
Nella pièce Prigionia di Alekos, in scena dal 10 al 18 febbraio al Teatro Niccolini di Firenze Sergio Casesi , giovane autore milanese che con questo dramma ha vinto il Premio La Pergola per la nuova drammaturgia, ha affrontato i grandi temi dell’eroismo e della solitudine, del coraggio e della libertà senza compromessi.
Da un punto di vista artistico Casesi ha scelto un argomento, Panagulis e la resistenza di un uomo solo contro la dittatura, e un contesto, la Grecia e la grande cultura classica, che gli hanno offerto tutti i materiali possibili per proporre un’opera di grande impatto.
C’è riuscito anche grazie alla messinscena di Giancarlo Cauteruccio, allo scenografo Andrea Benaim, alle musiche di Ivan Fedeli , alla capacità degli attori di rendere credibili non solo Alekos (Fulvio Cauteruccio) e i suoi due aguzzini (Carlo Sciaccaluga e Francesco Argirò), ma anche i personaggi creati dal prigioniero per sfuggire alla disperazione (Domenico Cucinotta e Roberto Visconti).
Per rappresentare il tragico gioco della lotta dell’individuo contro le forze che vogliono privarlo della sua dignità di essere umano, Cauteruccio ha ideato con Benaim uno spazio senza confini fatto di macerie e di lamiere contorte. Su di esse una grande struttura in ferro, come la grata di una gabbia che alla fine si alza a rappresentare un destino che continuamente si ripete: la lotta per la libertà non finisce mai, è una costante dell’infelice esistenza umana.
Accompagnati dalla fisarmonica di Francesco Gesualdi, sulle macerie dei valori umani si rappresenta dunque la tragedia di Alekos che resiste alla tortura fisica e morale chiamando a raccolta tutte le sue forze interiori e soprattutto la sua creatività, vale a dire la capacità di sublimare le sofferenze attraverso la bellezza della natura e la poesia, tutto ciò che i carcerieri non solo non possono toccare ma neanche capire.
Nei momenti in cui viene lasciato solo, il prigioniero svolge un dialogo interiore che si proietta in tre figure fantastiche: Dalì, lo scarafaggio, il suo doppio cinico e disincantato; Tiresia l’indovino, la sua cultura di uomo greco antico; Caronte, la fragilità dell’essere umano di fronte al dolore e alla disillusione, la tentazione di mollare: “Quando diserterai davvero? Dalla vita dal dolore. Non sei in lotta per la libertà Alekos? Non è lasciarsi morire la più grande libertà? Scegli ora, scegli di lasciarti andare”.
C’è un settimo personaggio, una voce di donna fuori campo che lo aiuta a resistere a immaginarsi un futuro di amore e consolazione. E’ la voce di Oriana Fallaci che sarà per pochi anni la sua compagna e che scriverà la sua storia nel suo capolavoro.
Con le sue soluzioni registiche, Cauteruccio è riuscito a rendere più intensa e nello stesso tempo più ricevibile dallo spettatore la densità letteraria del testo di Casesi, Non prima di avergli fatto vivere, in un Niccolini trasformato in experience di immagini e di miliziani urlanti ordini in greco con la testa di avvoltoio, la fine violenta della libertà.