
Firenze – Ci sono un centinaio di cittadini, al consiglio di quartiere aperto, in Sala Vanni, ieri sera, in piazza del Carmine. Un centinaio di persone, fra rappresentanti di Comitati, associazioni politiche, movimenti, e, soprattutto, residenti. Una corsa alla partecipazione per certificare una notizia che da anni ormai corre sue bocche di tutto l’Oltrarno: no, quel resort di lusso in una zona talmente fragile da chiamarsi Le Rovinate, non è ben accetto. Anzi. non lo si vuole proprio.
Le ragioni sono molte e investono lo stesso destino della città, il suo futuro, il progetto che guarda allo sviluppo di Firenze. Ci sono anche i rappresentanti del governo cittadino, che, oltre al presidente del Q1 Maurizio Sguanci si presenta con l’assessora Cecilia Del Re, su cui pesano le scelte della giunta e la necessità di darne i motivi di fronte all’assemblea. Nessun benvenuto per lei, la pacata ostilità dell’assemblea dei partecipanti “popolari” è evidente, uno striscione inalberato da Firenze Città Aperta la dice lunga. C’è scritto: “Nardella e Del Re agenti immobiliari”.
Ed eccoci al punto. Le ragioni della contrarietà che si è sviluppata negli anni vanno da quelle tecniche, a quelle socioeconomiche, all’idea stessa di Firenze futura. “Il punto vero della questione – dice Grazia Galli – risiede nella mancanza di una visione complessiva. Al di là di ciò che ha illustrato il presidente Milani (che spiega le posizioni del sindaco secondo il quale il luogo per anni è stato sottratto ai cittadini, a cui invece verrà restituito, ndr) è l’impatto complessivo sul bene pubblico che manca. Per questo serve una visione, perché oggi si sta parlando di Costa San Giorgio, non si può glissare parlando dei Lupi di Toscana. Non stiamo giocando a carte. Stiamo parlando di una città in cui le trasformazioni urbanistiche, come quella di cui stiamo discutendo e le molte altre prospettate, devono essere guardate finalmente tutte insieme, con una partecipazione vera, secondo una prospettiva complessiva pubblica e privata che riguardi la stessa idea di città futura. Per questo bisogna rivedere alla radice gli attuali strumenti di partecipazione “.
Una visione complessiva che salti anche le precisazioni di cui si fa latrice l’assessora Del Re, spiegando che la “depubblicizzazione” della struttura di Costa San Giorgio e la cascata della decisione fino all’acquisto dei Lowenstein passando attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, è una scelta che risale al 2002, tempi della giunta Domenici, quando lo Stato mise in atto la smobilitazione di tutto ciò che è patrimonio sostanziale, dalle ex caserme ai conventi, a tutto ciò che poteva essere svenduto utilizzando la Cdp (https://www.stamptoscana.it/cassa-depositi-e-prestiti-apre-la-sede-di-firenze-entro-giugno/), come una sorta di mano militare. Dunque, Costa San Giorgio come un gigantesco errore la cui responsabilità non risiede a Firenze ma a Roma? Colpa dello Stato? La Caserma Vittorio Veneto, come asserisce l’assessora Del Re, potrebbe essere considerata un’eccezione su cui l’amministrazione non aveva che pochi strumenti per intervenire? “La regola – dice ancora l’assessora – è il recupero che abbiamo imposto per l’ex Lupi di Toscana, basato sul social housing”.
“L’amministrazione comunale non c’entra nulla, ci è stato detto – attacca lo storico dell’arte Tomaso Montanari – è stato tutto deciso alrove. E’ stato lo Stato, sono stati governi, la Cassa depositi e prestiti, le commissioni, l’amministrazione comunale di fatto non poteva fare nulla. Lo sentiamo dire continuamente, per tutti i pezzi della città che vengono venduti. La nostra è una città all’incanto, che cammina a passi veloci verso la situazione di Venezia: sparizione dello spazio pubblico, a partire da quello pregiato, arrivando a uno spazio che non serve più alla comunità ma serve al mercato e al profitto. E’ la storia di Firenze ed è la storia del nostro quartiere, l’Oltrarno. Si moltiplicano e si moltiplicheranno, lo ha ricordato l’abate di San Miniato, i luoghi che non sono più spazio di tutti ma diventano lo spazio di pochi. Se l’alta gerarchia della Chiesa Cattolia sente il bisogno di prendere la parola in pubblico dicendo che questa china è drammaticamente pericolosa, credo che dovremmo ascoltare”. Per quanto riguarda l’amministrazione comunale, a proposito delle monetizzazioni compensative, Montanari parla del “prezzo del sangue”, ovvero di elemosine date per il tradimento, soldi per usi pubblici che “l’amministrazione dovrebbe comunque dare, sono invece elargiti come elemosina, come mance distribuite per creare il consenso a una gravissima operazione di alienazione”.
Ricordiamo di cosa si tratta: la monetizzazione delle compensazioni, per un totale di oltre 2,2 milioni di euro (da cui detrarre le opere di riqualificazione a carico dell’operatore pari a circa 400mila euro), dovrebbero finanziare opere con ricadute sociali per i cittadini del quartiere 1: interventi di manutenzione straordinaria su attrezzature ludiche e sportive e verde di piazza Demidoff, piazza Tasso, piazza D’Azeglio, giardino Nidiaci, giardino di Porta Romana (300mila); adeguamenti impiantistici e strutturali dell’Albergo Popolare (300mila euro); restauro casotti in piazza Demidoff (30mila euro); realizzazione spogliatoi femminili palestra Nidiaci in via della Chiesa (90mila euro); ristrutturazione, inserimento bagno e soppalco Centro giovani nel giardino Nidiaci (ex limonaia) in via d’Ardiglione (250mila euro); rifacimento del muro di contenimento Assi Giglio Rosso sul viale dei Colli (80mila euro); riqualificazione della scalinata della via Crucis (380mila euro circa); riqualificazione di piazza Santa Felicita e piazza dei Rossi e dei rispettivi marciapiedi con il rifacimento della pavimentazione in pietra (per l’importo rimanente pari a circa 440mila euro).
“Il comune avrebbe potuto intervenire in tanti modi – continua Montanari – a partire da quello più radicale, nella prelazione dei beni culturali anche i comuni e le regioni possono farsi avanti, sarebbe stato un grande caso nazionale, il riacquisto della struttura di Costa San Giorgio alla comunità. L’amministrazione ha dimostrato una cosa che purtroppo è costante, l’assenza di un progetto, di una visione. Il sindaco Nardella oggi dice che abbiamo taciuto. Non è vero che la città ha taciuto, la città ha parlato, ha documentato perché non si può fare ciò che ci si sta accingendo a fare in Costa San Giorgio. Non lo si può fare sul piano civile, su quello politico, anche sul piano materiale. Davanti a Santa Lucia dei Magnoli c’è una lapide, in cui Cosimo de’ Medici, all’inizio del suo regno, dice così: “Essendo collassati per tre volte gli edifici di questo monte, a causa di un vizio del suolo, affinché nessuno qui, di nuovo, ricostruisse, il Duca Cosimo ha posto questo divieto”. Cosa vuol dire intervenire su un luogo così fragile? Davvero non c’è rischio? Quando ci fu il collasso del lungarno sottostante, Publiacqua diramò uno studio che parlava del dissesto dell’intera collina. Credo che ci stiamo mangiando insieme il passato e il futuro, e che Costa San Giorgio sia il simbolo dell’incapacità di questa amministrazione di costruire un futuro per i cittadini davvero aperto e condiviso”.
Sulla questione della natura pubblica dell’edificio di Costa San Giorgio, a valle del commento del sindaco, ripreso in consiglio di quartiere ieri sera, per il quale da 150 anni l’accesso all’area è stata interdetta al pubblico e l’attuale operazione lo restituisce alla città, Dmitrij Palagi, consigliere comunale di Spc, precisa: “Bisogna intendersi su cosa è pubblico. In realtà la struttura era di proprietà del Demanio, e semmai era “escludente”, però non “esclusiva”. In questo modo (resort di lusso e servizi al resort, con poche finestre per l’accesso ai cittadini) il luogo diventa escludente ed esclusivo. La situazione peggiora di gran lunga, diventando uno spazio esclusivamente per il lusso”. Ricordiamo che la struttura di Costa San Giorgio è stata prima convento, poi caserma militare.
Sul ruolo dell’amministrazione nella partita, non è tenero neppure l’urbanista Antonio Fiorentino, che da anni, anche su queste pagine, ha seguito la vicenda (https://www.stamptoscana.it/costa-san-giorgio-tutto-cio-che-ci-sara-oltre-la-cremagliera/ ) e che ricorda che l’ultima parola spetta comunque all’amministrazione, che “può mettere le destinazioni d’uso”. Ma la causa principale che ha generato il mostro, secondo Fiorentino, è dovuta al fatto che, “come dichiarato dall’amministrazione nella scheda norma del 2015, “La complessità del manufatto e la sua particolare ubicazione non consentono di operare in questa fase scelte revisionali che permettano di garantire un adeguato recupero del bene … e il corretto insediamento di nuove destinazioni d’uso che non costituiscano fattori di criticità a livello urbanistico”.”. Una vera e propria dichiarazione d’incapacità, secondo l’urbanista, che conduce di fatto a lasciare briglia sciolta al privato. Ad ora, sebbene l’assessora ribadisca che sull’ex caserma Vittorio Veneto non c’è alcun progetto, ma ci si trovi ancora a un “livello di pianificazione”, il meccanismo che si prospetta è il seguente: a fronte della trasformazione dei due conventi del ‘300 e della chiesa che costituiscono la struttura di Costa San Giorgio in luogo del lusso, ai cittadini è concesso: 12 giorni all’anno di uso al quartiere dell’auditorium del resort e 8 di utilizzo del teatro all’aperto.
Finisce il consiglio di Q1 aperto, si va ai voti. Vale a dire i consiglieri eletti dai residenti del Q1 sono chiamati ad approvare la variante urbanistica su Costa San Giorgio. Che riceve il via libera con 9 voti favorevoli, contrari 2, astenuti 2.