Riccardo Cascio (Bijoux Cascio): maestri orafi nella Ferrari della gioielleria

Firenze. Bijoux addio. Poco più di due settimane fa Riccardo Cascio, proprietario dello storico marchio della bigiotteria fiorentina di alta gamma, ha chiuso con l’azienda di famiglia. La storia del marchio Bijoux Cascio però non finisce qui. Resterà in vita grazie ad un matrimonio con un’importante azienda del settore che si concluderà a breve. Riccardo Cascio entra nell’azienda del padre Gaetano negli anni ’60.

Ne prende saldamente le redini dopo l’alluvione, quando il padre stremato gli mette un assegno sul cofano della macchina e gli dice: “Riapri l’azienda o vendi”. Da allora il grande rilancio: Bijoux Cascio riapre in via Tornabuoni e in Por Santa Maria. Sarà sotto i riflettori delle sfilate insieme a Emilio Pucci, sorelle Fontana, Ferragamo, Patou solo per citarne alcuni. Negli anni ’70 aprono 21 negozi in franchising in Italia e 4 all’estero. Alla fine degli anni ’90 cambia tutto. L’impresa si ridimensiona e cambia pelle. Chiude la produzione in proprio ma il prodotto resta sul mercato grazie a una fitta rete di accordi commerciali e a una licenza di produzione negli Usa. Riccardo Cascio ha ancora mille progetti in testa.

La gioielleria italiana, secondo lei, sta uscendo dalla sua crisi ormai ultradecennale?

No, la crisi non è finita. Tanto per farle un esempio al primo Salone di Vicenza del 2018 mancavano addirittura seicento espositori. Perché sono spariti? Le imprese sono state falciate dalla crisi di questi anni e la manodopera, che è un elemento cruciale in questo settore, si è dispersa. La prima causa è sicuramente la globalizzazione, che ha fatto crollare il livello qualitativo dei prodotti sul mercato. Consideri inoltre che la Cina esporta verso l’Europa con dazi al 3% e senza controlli di qualità del prodotto. Noi europei invece, esportiamo con parti di gioielleria contingentati e dazi dal 18% al 23%. Questa situazione taglia le gambe alle nostre imprese, fortemente vocate ai mercati esteri. Dovrebbe cambiare. Gli accordi attuali vanno rivoluzionati.

Il mercato interno sta dando segni di risveglio?

La qualità della domanda interna è molto appiattita verso il basso. Le nostre imprese erano collocate su prodotti di livello medio alto che in parte sono ancora richiesti in Usa e nei paesi arabi, dove tuttavia si cerca soprattutto unicità e qualità super. La ripresa per la gioielleria italiana passa da qui: produrre un altissimo valore aggiunto, sforzarsi di essere le Ferrari del mercato internazionale dell’oreficeria.

Come è andata per Bijou Cascio in questi anni difficili?

Posso dirle che nel 2016, anno in cui controllavo ancora la commercializzazione, i miei clienti hanno avuto una netta riduzione del giro d’affari, ma il marchio Bijoux Cascio si è sempre venduto perché quello che conta è la qualità e l’originalità del prodotto.

L’oreficeria si presta all’introduzione di quella tipologia di innovazioni tecnologiche meglio conosciute come impresa 4.0?

Vede, un altro elemento che sta indebolendo le nostre imprese è antropologico. I grandi maestri orafi stanno tutti invecchiando, muoiono a poco a poco e, può esserne certa, nessun robot potrà mai sostituirli. Bigiotteria, gioielleria, pelletteria sono tutti settori in cui un grande prodotto nasce da due cose: materie prime di alta qualità e manodopera specializzata.

Dopo la drastica selezione delle imprese qualcuna rimane. Quali saranno le caratteristiche vincenti per il futuro?

Gli imprenditori devono fare un grande bagno di umiltà. Analizzare l’impresa e ritrovare qualità del prodotto e della manodopera, formandola a lungo in azienda se necessario. Oggi vince chi ha prodotti diversi. Bisogna rimettere in gioco tutto, compreso il modello di commercializzazione. A livello di sistema invece bisogna assolutamente investire nella formazione se vogliamo colmare il gap che ci separa dalla Germania, l’altra grande manifattura europea. Personalmente desidero concentrarmi su questo nel prossimo futuro.

Pensa che sia necessaria un’evoluzione dell’e-commerce in questo settore?

No, al contrario. C’è qualcosa che non si può vendere on line perché ha bisogno del contatto tattile. L’e-commerce deve fare il suo corso, ma vogliamo far morire definitivamente i negozi di strada? Ci vuole lungimiranza anche dal punto di vista urbanistico. Auspico la rinascita di negozi che “presidino” città reali, senza fratellastri minori nei vari Mall o negli outlet.

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