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Rsa, i gestori lanciano il guanto, mercoledì 22 presidio in piazza Duomo Breaking news, Cronaca

Firenze – Rsa, il sasso lo lancia il Comitato di coordinamento dei gestori delle Residenza sanitarie assistite toscane, che riunisce, più o meno, la metà delle rsidenze assisite toscane. Ed è un sasso che vale una valanga, tanto più in momenti di Covid. Un sistena che soffre di varie carenze, ma soprattutto che, secondo quanto spiegano i tre rappresentanti del Comitato di Coordinamento dei gestori delle Rsa presenti stamane, Franca Conte, presidente di ARAT, il coordinatore del comitato dei gestori delle Rsa toscane, Maurizio De Scalzi e Paolo Moneti, presidente di Anaste Toscana.  Il Comitato vede l’adesione di AGESPI Toscana (Associazione gestori servizi sociosanitari e cure post intensive), UNEBA (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale) Toscana, ARAT (Associazioni residenze anziani Toscana), ARSA (Associazione residenze sanitarie assistenziali), ANASTE (Associazione nazionale strutture terza età) Toscana, ARET (Associazione regionale aziende pubbliche di servizi alla persona). In Toscana il gruppo rappresenta circa 6mila posti letto su un totale di 14mila. Tenendo conto che il mondo delle Rsa è variegato,  ed è fatto di aziende vere e proprie, profit, di mondo no profit, e di cooperative; in particolare, circa quest’ultimo punto, sono le aziende ex pubbliche ad avere modalità di servizio tramite personale dipendente da cooperative. Le strutture presenti in Toscana, secondo lo studio della Regione, sono 324.

Sul tavolo, da un lato, le criticità di un sistema che rischia di impoverire le famiglie lasciando scoperti posti nelle Rsa, dall’altro, quella che è stata chiamata “carta dei desideri”, ovvero la delibera 843 della Regione Toscana, che dovrebbe ridisegnare l’intero panorama, poggiando su uno studio che ha fatto emergere i punti critici del sistema. Criticità, comunque, rileva il Comitato, ampiamente note. Una delibera inoltre che, a parte un pronunciamento di principi, ad ora non lascia altre tracce. Così, il Coordinamento annuncia una manifestazione di protesta per mercoledì 22 dicembre in piazza del Duomo a Firenze, a partire dalle ore 10,30. Ci saranno, oltre ai gestori, anche i soggetti maggiormente interessati dalle politiche in questione e dunque gli operatori e i familiari degli ospiti.

“Ne avremmo fatto volentieri a meno – dice Franca Conte, presidente di Arat e rappresentante del Comitato di Coordinamento – è un anno che si hanno incontri, tavoli, pseudotavoli aperti e abbiamo ottenuto zero. Ora, non abbiamo altra strada che utilizzare modalità più forti. O la Regione ci ascolta, intervenendo in maniera adeguata, o le strutture, o molte di esse, sono destinate a morire. E non è una lamentela, questa. Lo stiamo dicendo da tempo, nessuno ci ascolta, ma il problema delle Rsa va affrontato”. Facendo il punto, tra le questioni ritenute più controverse dagli organizzatori c’è il blocco di fatto delle liste d’attesa (dovuto al mancato rilascio delle quote sanitarie da parte delle Asl) per accedere alle strutture. Ciò da una parte costringe molte famiglie (spesso impoverendosi) a rivolgersi alle Rsa privatamente, dall’altra lascia le Rsa con centinaia di posti vuoti. Il blocco di fatto delle liste d’attesa porta con sé ripercussioni pesanti a livello di posti di lavoro: per le 12mila persone impegnate a vario titolo nel settore, il fallimento delle Rsa e la cassa integrazione sono un rischio reale nell’immediato futuro, proprio a causa delle centinaia di posti letto lasciati vuoti. Per chiarezza, aggiungiamo che la tipologia di utenza, nelle Rsa regionali, si divide in ospite privato e ospite accreditato, e che ogni RSA è suddivisa in quota sanitaria e quota alberghiera. Quando si tratta di ospite privato, è l’ospite stesso responsabile della totalità della retta (quota alberghiera e quota sanitaria) mentre all’ospite convenzionato viene addebitata solo la quota alberghiera, essendo la quota sanitaria saldata direttamente dal SSN. In ogni caso, anche per quanto riguarda la quota alberghiera, ci sono criteri diversi legati alla situazione socio-economica dell’utente. A differenza della cosiddetta quota sociale o alberghiera, la quota sanitaria spetta a tutti i cittadini italiani, come spiega Moneti, in determinate condizioni cliniche, al di là della loro situazione economica.

Il covid su tutto questo è piombato aggravando la situazione. Intanto, sulle circa 1200 persone che sono dipendenti o diretti o esterni delle Rsa, il 10% circa ha avuto una diminuzione delle ore lavorate, o probemi più gravi fino alla scomparsa del lavoro stesso, dal momento che si sono tenuti posti vuoti per tamponare le emergenze. Inoltre, i costi del personale si sono alzati, a partire dai “guardiani” deputati a controllare i green pass, fino alle pulizie, dove si sono dovute affrontare le necessarie sanificazioni, alle visite, alle uscite stesse degli utenti, che spesso hanno un fattore di rischio non controllabile.

La situazione nella sua interezza è stata sottoposta all’assessora regionale Spinelli nell’ultimo incontro tenutosi il 3 novembre scorso. “L’incontro era stato sollecitato da noi per parlare di questi problemi – dico De Scalzo – ma è stato invece detto che bisogna guardare al futuro. Un futuro in cui ci è stato prennunciato l’apertura di una serie di tavoli di confronto, nel giro di 18 mesi, per disegnare l’Rsa del futuro. Il problema, che abbiamo rappresentato all’assessora, è che fra 18 mesi potrebbe essere troppo tardi, se non vengono risolti questi problemi. Inoltre, se si prevedono 18 mesi, bene che vada, si tratterà di due-tre anni”. Ciò cui si riferisce la Regione è la delibera 843, che è fryutto del lavoro di una commissione che procede per dare luogo a quella previsione futura. Peccato, dicono dal Comitato di Coordinamento, che in quella commissione non ci sia un rappresentante delle Rsa. “Un primo punto balza agli occhi – continuano i rappresentanti dei gestori Rsa – se non si riescono a trovare gli infermieri, vista l’aumentata richiesta della parte sanitaria di cui si è parlato prima, come si fanno a mettere in atto i progetti di ospedale comunità, Case della Salute ecc, previste nel Pnrr, dal momento che tutto ciò richiederebbe almeno 60mila infermieri?”.

“Bisogna essere consapevoli – continua Conte – di cosa sono oggi le Rsa. Oggi, non si tratta più di strutture dove gli anziani giocano a carte, dove si fa la calza, ecc. Questo è un mondo di 40 anni, che non risponde più alla realtà dei fatti. Oggi gli anziani in Rsa arrivano gravissimi, con bisogni sanitari, di conseguenza, molto diversi e molto più importanti rispetto al passato. Questo fa sì che il sistema ospedaliero possa, anche giustamente, considerare, se esistono, strutture alternative”. Sì, ma il vero problema, secondo  il Comitato, è che di questa nuova realtà delle Rsa nessuno si fa carico; anzi, neppure ci si vuole rendere conto. In altre parole, ciò che manca alle Rsa per rispondere a questo dati di fatto, ovvero principalmente alla trasformazione dei bisogni, sono gli strumenti: infermieri, ad esempio, che invece sono protagonisti della “grande fuga” verso il pubblico. Ma anche le strumentazioni cliniche. Infatti, ciò di cui stiamo parlando comprende in buona sostanza piccole e medie Rsa private, cui viene corrisposta una quota sanitaria, che significa una quota di posti sostenuta dai contributi degli enti pubblici. Un sistema che, se viene di fatto bloccato, costringe gli utenti a rivolgersi da “privato a privato”, con un aumento di costi spesso irraggiungibili per le famiglie; lasciando nello stesso tempo, come già detto, scoperti posti vuoti nelle strutture. Di fatto, secondo quanto spiegano dal Comitato, il collo d’oca cui si ritrova il sistema sarebbe motivato in buona sostanza dalla mancanza di soldi. 

“Nello stesso tempo, però, nonostante manchino i soldi per i nostri anziani, alcune amministrazioni locali stanno autorizzando la creazione di maxi residenze, per circa 2.000 posti letto, con la speranza di creare nuovi posti di lavoro nei propri territori – incalzano Conte,  De Scalzi e Moneti – Un’incongruenza, questa, che per il Comitato è frutto di mancanza di visione e di programmazione da parte della Regione. Se vogliamo ottimizzare l’uso delle poche risorse esistenti, è necessario partire dalle realtà organizzative esistenti, frutto delle pianificazioni regionali passate. Oggi, le Rsa sono una rete di strutture e servizi diffusa capillarmente in tutta la Toscana, in grado di diventare centri di servizi integrati, anche domiciliari, e di cure intermedie, per rispondere a una domanda assistenziale finora mai adeguatamente considerata. E ciò è possibile farlo senza necessità di importanti investimenti da parte delle Asl, aprendosi al confronto con chi da decenni si prende cura dell’assistenza delle famiglie toscane, per costruire insieme i servizi del futuro”. 

 

 

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