Sandro Pertini, l’eredità politica del Presidente degli Italiani

Firenze – L’analisi del ruolo di Sandro Pertini presidente mi consente di sfatare un luogo comune che gli veniva cucito addosso: quello di un Pertini coraggioso e generoso, campione di onestà personale, ma sprovvisto di quello che veniva definito superficialmente “senso politico”. Insomma un uomo tutto fede, passione e coraggio (di questo ne aveva mostrato veramente tanto nell’antifascismo e nella Resistenza) piuttosto che un analitico e freddo ragionatore sulle modalità dell’azione politica. Sì, è vero, Pertini era alieno da quelle raffinate sottigliezze che erano tipiche del sistema di coalizioni, partiti e correnti proprio della prima repubblica, ma aveva una sua visione e una sua linea politica ben precise. Una dimostrazione fu la sua azione dopo le elezioni politiche del 1983, ma vorrei ricordarne un ‘altra.

Subito dopo i funerali di Enrico Berlinguer, che furono al tempo stesso la più grande ma anche l’ultima manifestazione di potenza politica dell’allora Pci, andai a trovarlo al Quirinale. Pertini era stato particolarmente vicino alla tragica vicenda del malore e della morte del segretario del Partito Comunista Italiano. Aveva voluto portarne personalmente da Padova a Roma la salma sull’aereo presidenziale, “Lo porto via come un amico fraterno, com un figlio, come un compagno di lotta”. Così disse. Negli ambienti socialisti si brontolava contro questa dimostrazione al tempo stesso di stima e intimità. Ciò sia in considerazione dell’apro scontro in atto sul decreto in tema di contingenza che il governo Craxi aveva emanato e che aveva trovato la più radicale opposizione dello stesso  Pci,  sviluppata in una campagna politica su cui lo stesso Berlinguer aveva profuso tutte, e purtroppo ultime, sue forze, sia perché si riteneva che il Pci stesso potesse avvantaggiarsi elettoralmente di queste dimostrazioni di stima e di affetto nelle elezioni per il Parlamento Europeo che si stavano avvicinando.

Pertini mi disse di essere consapevole di queste critiche, e, respingendole, si espresse in modo molto colorito su quelli che riteneva esserne i promotori, e poi mi disse: “Vedi Spini, c’era in me dell’affetto personale verso Enrico Berlinguer, oltretutto perché ero molto amico di suo padre, il deputato socialista Mario Berlinguer”. Mario Berlinguer era stato prima esponente del Partito d’Azione e poi deputato PSI per molti anni. Un uomo, quindi, della generazione di Pertini).

Ma, aggiunse Pertini, “il mio cordoglio per la perdita di Enrico Berlinguer ha un senso politico ben preciso”.

“Vedi Spini – aggiunse – io ho nominato presidente del consiglio Giovanni Spadolini, il primo laico nella storia della Repubblica, dopo Ferruccio Parri che lo era stato immediatamente dopo la Liberazione: io ho nominato presidente del consiglio Bettino Craxi, il primo presidente del consiglio socialista nella storia d’Ityalia, rompendo il quasi quarantennale monopolio della Dc. Avrei voluto terminare il mio mandato portando il Pci al governo, in questo modo legittimandolo e avviando l’Italia sulla strada di una democrazia compiuta”. Si può aggiungere, aggiungiamo, capace di alternanza. “Sento – concluse Pertini – che con la sua scomparsa mi viene meno l’interlocutore necessario per questo obiettivo”. E non aveva certamente torto!

Il Presidente aveva piena coscienza che un sistema di democrazia bloccata non poteva funzionare. E cercava di condurlo già allora ad una transizione verso una democrazia “normale”. Ma il suo settennato durò fino al 1985  e bisognò aspettare il 1989 e la caduta del Muro di Berlino perché la tormentata transizione italiana cominciasse. Egli guardava anche nella prospettiva storica ad una ricomposizione unitaria delle forze di sinistra: per lui – e me lo riconfermò più volte- sentire Umberto Terracini, cioè un personaggio che a Livorno, nel 1921, la scissione comunista l’aveva fatta in prima persona intervenendo anche al Congresso, affermare che a Livorno aveva invece avuto ragione Turati costituiva un motivo di autentica commozione e di speranza. Ecco quindi la sua caratteristica politica: fedele al socialismo riformista turatiano e nel contempo sentirsi parte del più ampio schieramento della sinistra e del movimento dei lavoratori.

Quando, in occasione di dibattiti politico-istituzionali, sento dire che la soluzione dei problemi italiani consisterebbe nella diminuzione dei poteri del Presidente della Repubblica e nell’ampliamento di quelli del Presidente del Consiglio provo un moto di disappunto e contrarietà. Come non vedere che nella storia d’Italia, nella complessa e travagliata cosituzione materiale del nostro Paese, quando il Presidente della Repubblica sa essere come Sandro Pertini il Presidente di tutti gli italiani, gioca un ruolo assolutamente benefico e positivo per la nostra nazione? E penso allora  a Sndro Pertini, a quell’uomo che non aveva dietro di se’ un partito o una corrente, e tanto meno lobbies e gruppi di potere, ma aveva una grande fede nell’idea socialista e nelle istituzioni democratiche repubblicane e una grande capacità di sintonizzarsi con le attese e i sentimenti del popolo italiano, e mi chiedo se avrebbe potuto fare tutto quello che ha fatto se non avesse potuto esercitare quei poteri e quelle prerogative che la Costituzione gli conferiva.

Il ricordo di Sandro Pertini costituisce tuttora un riferimento di grande attualità sotto molti aspetti. La frase ricorrente con cui amava sintetizzare la sua visione del socialismo e cioè che non c’è socialismo senza libertà e non c’è libertà senza socialismo, può apparire una frase tipica del XXesimo secolo, e certamente, in un certo senso, lo è. Ma cerchiamo di trasportarla nel XXIesimo secolo e nella crisi che stiamo vivendo. Una sinistra che non sia capace di incarnare il tema delle libertà non “sfonda” nella situaizone attuale, ma una società che non sia capace di coesione non può realmente progredire. Una coesione che si raggiunge attraverso la condivisione di valori, di diritti, di metodi e di obiettivi, di lotta alle ingiustizie e alle disuguaglianze. E questa è stata la grande passione dei socialisti della generazione di Sandro Pertini ma deve essere anche la passione di chi sente oggi gli stessi valori.

Una domanda infatti si impone. Come coltivare l’eredità politica di Sandro Pertini, in un momento certo difficilissimo a livello internazionale ed interno, ma in cui è avvenuto pure che il senatore del Vermont, Bernie Sanders, abbia potuto contendere seriamente la nomination del Partito Democratico americano dichiarandosi socialista. In Italia abbiamo tanto bisogno che gli ideali del socialismo, liberale e riformista, siano ricollocati nella posizione che a loro spetta, di fonte di ispirazione e di formazione per la politica di oggi. Ed è l’impegno che dobbiamo prendere nel nome di Sandro Pertini. 

 

 

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