
Firenze – Ogni libro di Sergio Valzania è una soddisfazione per i lettori. Perché l’autore (storico, studioso della comunicazione, autore radiofonico e televisivo) riesce a coniugare il rigore storico, la capacità di approfondimento e di re-interpretazione di eventi e personaggi storici, con una narrazione appassionante, come quella di un romanzo. E’ stato così con Austerlitz , e con soggetti particolarmente difficili come Wallenstein e la battaglia dello Jutland , tanto per citarne alcuni. Con il recente “Cento giorni da imperatore” porta al massimo livello questo processo perché ricostruisce il periodo più controverso e, per certi versi, enigmatico dell’epopea napoleonica. Lo fa in modo dettagliato, con analisi degli aspetti diplomatici, dell’azione di governo, della battaglia di Waterloo e delle sue conseguenze (uno degli aspetti meno noti della vicenda) offrendo così materiale per riflettere sulle nuove ipotesi interpretative formulate dall’autore per le varie fasi dei “Cento giorni”. E lo fa con una narrazione incalzante che in certi passaggi,( cito ad esempio i giorni del volo dell’aquila) ci lascia col fiato sospeso come in quei thriller nei quali conosciamo già la soluzione ma sono,per questo, ancora più emozionanti nei vari passaggi.
Cerchiamo adesso di ripercorrere alcuni snodi del libro, edito da Mondadori nella collana Le Scie, attraverso questa conversazione con Sergio Valzania
Dalla lettura del tuo libro si capisce che i Cento giorni di Napoleone , dalla fuga dall’Elba alla battaglia di Waterloo sono uno degli aspetti più importanti dell’ epopea di Napoleone. Perché?
Perché è l’evento della vita che gli dà una definitiva dimensione tragica, e quindi di eroe completo. Se fosse rimasto all’Elba avrebbe ripercorso al contrario il suo cammino dalla piccola nobiltà di provincia al trono di Francia. Forse vincendo a Waterloo e rimanendo coinvolto in una guerra lunga e necessariamente perdente non avrebbe lasciato un’immagine così netta di sconfitto dalla sorte avversa più che dal nemico.
Scrivi che la sua fuga dall’isola d’Elba fa di lui un eroe romantico. Eppure era stato consigliato di rifarsi una vita in America.
Sì, ma si trattava di un’ipotesi irrealizzabile. L’Inghilterra aveva combattuto di recente una dura guerra contro gli Stati Uniti, non avrebbe permesso a un generale del suo valore di portare un tale talento militare al di là dell’Atlantico. Non è solo la fuga a fare di Napoleone l’esempio dell’eroe romantico. Dopo di essa c’è la riconquista quasi miracolosa del potere parigino, poi la sconfitta del tutto imprevista per la quale ancora si parla di mistero di Waterloo, infine la prigionia ai confini del mondo, quasi un nuovo Prometeo. Tutti elementi costitutivi delle leggende che tanto piacevano ai romantici dell’Ottocento.
L’arrivo in Francia segnò un evento straordinario La riconquista del potere senza nemmeno sparare un colpo. Come fu possibile?
Napoleone era amato dai francesi. Aveva vissuto con loro un sogno di grandezza politica neppure immaginato, a modo suo era l’erede anche di tutte le aspettative rivoluzionarie. Inoltre c’era l’esercito che lo amava, per ragioni emotive e anche di interesse. Sotto di lui i soldati, ma soprattutto gli ufficiali conducevano una vita molto migliore che sotto Luigi XVIII. Inoltre il re non era amato: era stato messo sul trono dai vincitori della Francia, non aveva nessun seguito nazionale, infatti la dinastia durò pochissimo e anche la monarchia non andò oltre il 1848.
Ma Napoleone lo aveva previsto?
Lo aveva sperato con tutte le sue forze. Si era informato, non solo dai giornali. Leggeva tutta la corrispondenza in arrivo ai più di mille soldati francesi che erano con lui all’Elba e in molti gli scrivevano dalla Francia raccontandogli del malcontento diffuso. Erano passati solo dieci mesi dalla sua partenza, i francesi si ricordavano bene di lui, della sua personalità carismatica e dei reali benefici che avevano avuto durante il suo governo. Alcuni pagati dai paesi vinti, altri da circostanze non del tutto commendevoli, come la scarsa disoccupazione dovuta alle perdite di soldati in combattimento.
Si dice di solito “una Waterloo” come sinonimo di completa disfatta, ma già nel sottotitolo fai capire che si può dare una diversa lettura
Dal punto di vista militare fu con sicurezza un disastro assoluto. E’ altrettanto vero che l’episodio fa parte dell’epopea napoleonica come se si trattasse di una vittoria. Si tratta dl passaggio necessario nella costruzione di un’epopea: il finale obbligatorio di una storia di grandezza e di sangue, con il suo corollario di incomprensibilità. Perchè Napoleone abbia perso non è chiaro e soprattutto non si sa, e sempre sarà impossibile sapere, se fu una sconfitta di misura, dovuta al caso e alla sfortuna, oppure se abbia commesso dei gravi errori. Certo scelse dei pessimi collaboratori per accompagnarlo nella campagna del Belgio.
Napoleone non credeva nell’esito risolutivo di una vittoria. Quindi guardò ad una battaglia che lo proiettasse nel mito?
E’ difficile sostenerlo con certezza. Non si può entrare nella testa degli uomini e carpire i loro pensieri segreti, magari inconfessati. Nè ai vivi, né tanto meno ai morti. Quello che si può fare, che uno storico credo debba fare e guardare alle conseguenze degli accadimenti, e non solo alle dichiarate intenzioni dei loro protagonisti. Da questo punto di vista la battaglia di Waterloo appare come la risposta alla domanda su come mai Napoleone abbia lasciato l’isola d’Elba: perché alla sua vita mancava un episodio finale, una chiusa degna di lui. Qualcosa come la battaglia di Waterloo insomma. Non si può negare che la grande sconfitta sia un elemento necessario all’interno del suo mito.
A proposito del mito: nel suo libro fa un paragone con i miti e le tragedie greche…
In riferimento agli eroi romantici, che lottano contro un destino avverso fin quando non ne sono travolti. Per i greci c’entrava l’invidia degli dei. Nel romanticismo ottocentesco la necessità deriva da un atteggiamento estetico e Napoleone presente il sapore del secolo che arriva. Dal punto di vista intellettuale era un uomo dei lumi, settecentesco e razionale, ma esteticamente era rivolto all’Ottocento, basta guardare il suo abbigliamento per capirlo.
Un ultima “curiosità” se nei Cento Giorni, al genio militare avesse unito doti diplomatiche ce l’avrebbe fatta a conservare il trono utilizzando magari i contrasti di un’Europa sempre divisa e ostentando volontà di pace? O tutto sarebbe stato inutile?
Napoleone ostentò in ogni modo la sua reale volontà di pace, a cominciare dalla scelta del ministro degli esteri, Coulaincourt, un pacifista dichiarato molto stimato dallo zar Alessandro. Però faceva ancora paura a tutta l’Europa che non aveva capito, forse non lo capì neppure Napoleone, che la stagione militare della Francia si era esaurita, persino il suo status di grande potenza era divenuto incerto. Il motore della storia si era spostato altrove: in Inghilterra, in Germania, oltre Atlantico. Da questo punto di vista riportare ancora una volta sul trono Luigi XVIII fu un errore clamoroso, che destabilizzò l’Europa nell’illusione che il problema venisse dalla Francia e non da una modernità che in un cinquantennio avrebbe travolto tutto quello che il Congresso di Vienna aveva cercato di istituire. Persino il Belgio diventò indipendente.
Foto: Napoleone all’Elba (ricostruzione storica)