Tasse, nel 2018 saranno cinque i mesi in cui si lavora per il fisco

Firenze – Il giorno della Festa della Repubblica, il prossimo 2 giugno, sarà anche la data del “tax freeddom day”. A segnalarlo è la Cgia di Mestre, che registra, dopo 5 mesi dall’inizio del 2018 e 152 giorni lavorativi, il momento i cui il contribuente italiano avrà assolto a tutti i suoi obblighi fiscali, dall’Irpef, accise, Imu, Tasi, Iva, Tari, addizionali varie, Irap, Ires, etc. Dal 2 giugno dunque “inizierà a guadagnare per se stesso e per la propria famiglia”.

Se la ricostruzione è del tutto astratta, pure, fa sapere la Cgia, “dà la dimensione di quanto sia smisurato il prelievo fiscale e contributivo dai portafogli degli italiani”. Anche se, come ricorda il coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre Paolo Zabeo,  “Al netto di eventuali manovre correttive, quest’anno la pressione fiscale è destinata a scendere di mezzo punto percentuale rispetto al dato medio del 2017, per attestarsi, al lordo dell’effetto del bonus Renzi, al 42,1 per cento”. Una discesa tuttavia che viene giudicata “ancora troppo lenta e quasi impercettibile che, per l’anno in corso, è ascrivibile, in particolar modo, alla crescita del Pil e solo in minima parte alla diminuzione delle tasse”.

L’Ufficio Studi dell’associazione veneta ha anche ricostruito lo “storico” dei giorni di “liberazione fiscale”. Così, scopriamo che il giorno più “precoce” della liberazione dalle tasse è stato nel 2005, governo Berlusconi II, in cui “la pressione fiscale si attestò al 39,1 per cento e ai contribuenti italiani bastò raggiungere il 24 maggio (143 giorni lavorativi) per scrollarsi di dosso il giogo fiscale”. Il momento in cui la “liberazione” è tardata di più fu nel 2012, governo Monti, governo sotto cui si verificò anche il record di pressione fiscale, 43,6 per cento, mentre “il “giorno di liberazione fiscale” si celebrò “solo” il 9 giugno (dopo ben 160 giorni lavorativi)”.

Dal 2014 in poi, il periodo di svincolamento dal pagamento delle tasse si è sempre accorciato, seguendo la diminuzione della  pressione fiscale, seguita alla cancellazione della Tasi sulla prima casa, all’introduzione del “bonus Renzi” e di “una serie di misure di alleggerimento dell’Irap sul costo del lavoro, per l’abolizione temporanea dei contributi previdenziali in capo ai neo assunti con un contratto a tempo indeterminato, per il taglio dell’Ires, per la ripresa del Pil e anche a seguito del blocco delle tasse locali”. Quanto a quest’ultimo punto va infatti ricordato che dal 2016, ad eccezione della Tari, “tutte le altre imposte locali (Imu, Tasi, Irap, addizionali regionali/comunali Irpef, Tosap, bollo auto, etc.) sono state congelate per legge”. “Al netto delle strepitose promesse elettorali annunciate in queste ultime settimane da una buona parte dei big politici – conclude Paolo Zabeo – entro la fine di quest’anno chi sarà chiamato a governare il Paese dovrà recuperare quasi 12,5 miliardi di euro per sterilizzare l’ennesima clausola di salvaguardia, altrimenti dal 1° gennaio 2019 l’aliquota Iva del 10 per cento salirà all’11,5 e quella attualmente al 22 si alzerà al 24,2 per cento”.

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