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Teatro Povero di Monticchiello: un “Paese che manca” fra realtà e visione Opinion leader, Spettacoli

Firenze –  Il Teatro Povero di Monticchiello sta per compiere 50 anni e, nonostante le dichiarazioni prudenti dei suoi animatori, dimostra una freschezza che ne fa uno dei più importanti appuntamenti  teatrali del Paese.

Soltanto a leggere il titolo dell’autodramma numero 49 che verrà messo in scena dal 25 luglio al 15 agosto in piazza della Commenda, si coglie il senso di quanto i paesani – attori – commediografi  hanno colto nelle vicende dell’ultimo anno che vanno molto al di là del loro microcosmo. “Il Paese che manca”, paese con la lettera maiuscola, è una riflessione sul migrare e l’arrivare, sull’abbandono di una realtà che è soprattutto interiore: il paese manca come nostalgia di  chi se ne va,  ma anche di chi arriva; manca fisicamente in chi resta e assiste al  disfacimento di una realtà confortevole di servizi che non ci sono più, come la farmacia e le poste.

“Il pezzo si apre  con la cerimonia di compleanno dell’ultimo ragazzo di 20 anni che è in paese, ma è anche forse l’ultimo ventenne che se ne andrà – spiega Andrea Cresti, regista e autore teatrale e, soprattutto, il coordinatore di questa singolare assemblea di artisti e drammaturgi formata dai cittadini di Monticchiello  – ma in questa cerimonia paradossale accade che le cose non vadano come si pensava. Il corpo della cerimonia viene stravolto dagli invitati, nascono conflitti, immagini poetiche e crude fino a  un epilogo abbastanza ironico e ambiguo” .

Un’ambiguità che è una delle cifre distintive dei drammi del Teatro Povero, perché “un’ambiguità di fondo permette a chi guarda di cogliere il senso più profondo dell’operazione”. Ambiguità data anche dalla  presenza, ricorrente nelle regie di Cresti, di personaggi misteriosi,  immaginifiche rappresentazioni del significato profondo dell’opera. “Il Paese che manca” si apre infatti e si chiude con “il Giocattolaio”, che sposta tutta la rappresentazione su di un piano di metafora universale.

Lasciamo il resto alla visione dell’autodramma, scritto come sempre in assemblee aperte al pubblico che mettono a fuoco i temi che più hanno colpito la sensibilità dei protagonisti  e che vengono poi elaborati in assemblee ristrette sotto la direzione di Cresti  che orienta “la loro passione partecipativa” . Il mondo di riferimento sia linguistico che scenografico è sempre quello della mezzadria, un mondo che non esiste più ed è forse questo il grande segreto drammaturgico che fa del popolo di Monticchiello un caso unico della scena italiana: valori etici ed esistenziali di quel mondo assurgono a valori universali , come lo erano i miti lontani del teatro greco.

Intanto Cresti, con Giampiero Giglioni della cooperativa Teatro povero e l’assessore alla Cultura del Comune di Pienza Giampietro Colombini stanno cominciando a pensare all’edizione 2016 del cinquantenario che dovrà essere una grande riflessione su questa esperienza con convegni, presentazioni e altro. Purché ovviamente il Teatro possa continuare a mantenersi  (e il vicepresidente Vittorio Bugli ha promesso che la Regione farà la sua parte). Ma anche la precarietà ha un suo fascino artistico: “La percezione della fine è altamente creativa: camminare sul crinale della propria estinzione, irridenti contro il fato”, dice Cresti. Ma sarebbe come uccidere un pezzo importante di cultura toscana.

Fototo: una scena di Gomiccioli (autodramma del 2005)

 

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