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Tindari Baglione: la missione del giudice Opinion leader

Firenze  – L’umanità profonda e disinteressata di Tindari Baglione, procuratore generale presso la Corte d’Appello di Firenze, scomparso oggi all’età di 72 anni, fa parte dei tesori  che illuminano l’amicizia e valorizzano qualunque rapporto umano.

Nato a Firenze da famiglia siciliana (il nome esprime la devozione al santuario della Madonna di Tindari), Tindari è stato un protagonista attento e discreto della vita fiorentina, come si conviene a chi ricopre il ruolo delicato di giudice.

Uomo di fede cresciuto all’interno del  cattolicesimo fiorentino  che negli anni della sua giovinezza vedeva la presenza di grandi figure padre Ernesto Balducci, ma anche don Mario Lupori, fondatore della Comunità giovanile San Michele, di cui è stato membro con impegno e passione.

Sul modello di una generazione di giudici di grande caratura morale e professionale, Tindari scelse di entrare in magistratura nel 1970 per diventare sei anni dopo sostituto procuratore a Firenze, fra gli altri accanto a Gabriele Chelazzi  e a Piero Luigi Vigna con i quali ha lavorato in delicate inchieste sul terrorismo.

Coerente con il suo impegno di giurista attento ai mutamenti della società italiana, per portare il suo contributo alla costruzione e alla difesa dell’indipendenza della magistratura, fu eletto nel Consiglio superiore della Magistratura dove rimase dall’81 all’86, un altro periodo di transizione particolarmente tormentato nella vita politica italiana.

Al termine del mandato, tornò alla Procura di Firenze dove è rimasto fino al ’91, per passare poi alla procura generale. Per cinque anni è stato capo della Procura di Pistoia, quindi sostituto procuratore generale presso la Cassazione prima di essere nominato Pg  a Firenze, il 7 maggio 2013.

Due fatti legati al tragico naufragio della Concordia, l’operazione di rimozione del relitto e il ritrovamento dei resti dell’ultima vittima, gli hanno suggerito le riflessioni con le quali quest’anno ha concluso l’intervento di inaugurazione dell’anno giudiziario: “Questi due fatti ci ricordano  – disse il 24 gennaio 2015 – che si può sempre fare qualcosa anche quando tutto sembra difficile se non impossibile. Ciò vale anche e soprattutto per i magistrati per i quali ciò costituisce un vero e proprio imperativo categorico. Possiamo e dobbiamo fare qualcosa per affermare la forza della legge contro la barbarie, le ingiustizie, il crimine”.

A questo senso della missione del magistrato Tindari si è sempre attenuto in ogni momento della sua carriera. Così come non è mai venuto meno a quello che considerava un secondo imperativo categorico: onorare quelli che considerava i suoi maestri – è stato uno degli animatori dell’Associazione intitolata al giudice Gian Paolo Meucci – e rimanere sempre vicino e disponibile per coloro che avevano bisogno di un consiglio o di un sostegno.

Esiste un’amicizia che va al di là di qualunque contingenza, che non è appesantita da un grammo di interesse. Tindari ne è la prova.

Foto: www.truejustice.org

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