
Pistoia – La scrittura è strumento privilegiato con cui l’humanitas si manifesta e spesso riesce a dare conto di sé nelle variegate forme della letteratura. Un esempio straordinario ci giunge dalla prima metà del Cinquecento, apogeo della civiltà rinascimentale e periodo di grande fioritura artistico-culturale: nel suo capolavoro, l’Orlando Furioso, Ariosto riesce a illustrare magistralmente, attraverso il ricorso all’allegoria, alcune caratteristiche intrinseche alla condizione umana.
Prendiamo il palazzo di Atlante, per esempio, metafora del destino, luogo di perdizione in cui si è indotti a inseguire in modo ossessivo lo spettro del proprio desiderio, fino a perdere il senso del tempo e dello spazio.
Ad oggi, uno degli strumenti che meglio incarna questo incanto è lo smartphone: più volte ci è capitato di aprire un social network, iniziare a navigare, scorrere post su post selezionati per noi da un algoritmo che, sebbene immateriale, percepisce ciò che ci piace e arriva perfino a conoscerci meglio di noi stessi.
È facile perdersi dentro questo affascinante labirinto. Così, giorno dopo giorno, automaticamente, siamo soliti immergerci in una dimensione altra che è in grado di distoglierci dalla realtà, innescando un circolo vizioso dal quale è difficile uscire: (quasi) una dipendenza, insomma.
Se internet rappresenta il contenitore, cioè il palazzo, il contenuto è invece eterogeneo e variegato: una modella, un gruppo rock, la ricetta di uno chef pluripremiato o una paradisiaca isola caraibica.
Come la mela proibita, la rete incrementa una spirale di desiderio che spinge a emulare il proprio idolo, a sognare senza mai concretizzare e a ingenerare aspettative che spesso risultano infondate e/o demoralizzanti. La categoria che risente maggiormente di questo effetto nocebo è quella degli under 20, ossia di coloro che hanno a che fare con la propria imminente crescita personale, con il futuro insomma!
L’isolamento dalla realtà, specialmente se questa appare problematica, procura un benessere temporaneo che consente di far fronte a emozioni negative. Perciò è rassicurante trovare rifugio in ciò che piace, anche se questo apre la strada a un labirinto senza vie d’uscita, fatto di illusioni e privo di certezze. E quando infine arriva il momento di uscire dal castello, si finisce per non saper che fare della propria vita.
Altrettanto suggestivo è il cielo della luna, descritto durante il tentativo di Astolfo di recuperare il senno di Orlando. Questo luogo surreale rappresenta un centro di “raccolta indifferenziata” di tutto ciò che si è perso sulla Terra, siano essi beni materiali o immateriali.
In questo senso, chissà se davvero, quando “perdiamo la testa”, parte del nostro sé percorre così tanti chilometri! O se la vecchia fotografia che cerchiamo da anni sia infine arrivata lassù ed è questo il motivo per cui non la troviamo in soffitta…
Il tempo è una dimensione crudele che divora l’essenza delle cose e nemmeno i ricordi sono sufficienti a trattenerla: solo la luna pare conservarne le vestigia, raccogliere le lacrimae rerum. Il tempo dissolve la fama delle imprese dei grandi, la memoria letteraria di esse, le testimonianze storiche di chi ne ha manovrato le fila.
Talvolta distrugge la stessa humanitas – basta poco per imbestiarsi nuovamente e compiere atti indicibili – oppure si prende prematuramente la vita. Da bambini ci dicevano che chi non c’è più va in cielo: forse quelle tante anime ci osservano mute dalla luna.
Se davvero tutti questi brandelli di umanità sono finiti lassù – anche da lontano, anche se impercettibili – sono comunque di fronte a noi e possono in qualche modo illuminarci in questo nostro errare travagliato.
Ginevra Rambostaia