
Parma – Gli affari sono affari. Negli Stati Uniti, secondo ”Gun Violence Archive”, nel 2019 ci sono state più di 280 sparatorie nelle quali almeno quattro persone, oltre l’attentatore, hanno perso la vita. Il 3 agosto, al Centro commerciale Walmart di El Paso, ci sono stati 19 morti, tra cui 4 bambini, e 40 feriti. A poche ore da questa strage, nella città di Dayton nell’Ohio, in una sparatoria compiuta all’interno di un bar, sono rimaste uccise 10 persone, mentre altre 27 sono rimaste ferite. In una sparatoria al Gilroy Garlic Festival ci sono stati 4 morti (tra cui un bimbo di 6 anni, una 13enne e il killer) e sono state ferite 12 persone. In un’ennesima sparatoria in Texas, tra le cittadine di Midland e Odessa, un uomo a bordo di un furgone rubato ha aperto il fuoco sui passanti: cinque i morti, 21 i feriti.
Le stragi all’interno delle scuole americane non sembrano avere fine. Nel 2012, venti bambini e sei adulti sono stati uccisi alla Sandy Hook Elementary School di Newtown, nel Connecticut. Il 57% degli adolescenti americani e il 63% dei genitori sarebbe preoccupato da eventuali sparatorie a scuola. Il tragico elenco potrebbe continuare: (https://tg24..sky.it/mondo/approfondimenti/stragi-usa-piu-gravi-ultimi-anni.html).
Sono fatti noti, come noto è il vano dibattito sulla limitazioni delle armi da fuoco. E’ inutile illudersi: i produttori di armi hanno sostenuto Trump nella campagna elettorale e ora riscuotono, e Trump è un partner leale! Infatti gli Stati Uniti ricoprono la prima posizione nella spesa militare: 649 miliardi di dollari, il 36% della spesa globale: al secondo posto la Cina, passata da 228 miliardi del 2017 a 250 nel 2018.
Meno noto è un tipo di reazione tra la popolazione che si sente minacciata: il ricorso a giubbotti antiproiettile o ad altri tipi di protezione individuale (“Time”, 16 dicembre). Dopo la sparatoria nella scuola superiore Stoneman Douglas a Parkland, in Florida (14 febbario 2018), molti genitori americani, per proteggere i loro figli, hanno iniziato a dotarli di zaini antiproiettile.
In seguito a ciascuna di queste stragi, le aziende che producono questi oggetti vedono una crescita straordinaria dei loro profitti.
Joe Curran, titolare della Bullet Blocker, azienda del Massachusetts, ha ideato gli zainetti per “proteggere i suoi bambini in età scolare dopo aver assistito all’orrore del massacro della Virginia Tech” (aprile 2007).
Steve Naremore, CEO di Tuffy Packs, dice che le vendite hanno subito un’impennata del 500% dopo la strage di El Paso; secondo lui questi oggetti non sono altro che strumenti che accrescono la sicurezza, come i caschi per i ciclisti.
Un’altra azienda, la Guard Dog Security, che produce zaini protettivi di circa 20 Kg e costano quasi 300 dollari, ha dichiarato che non si riusciva a star dietro ai numerosissimi ordini.
Una società d’abbigliamento di Denver, in Colorado, ha portato sul mercato addirittura una linea di abiti antiproiettile per bambini. Tra i capi, zainetti e giubbotti blindati per i più piccoli, venduti anche on-line.
Ma vi sono anche altri provvedimenti per accrescere la sicurezza: ad esempio in Fruitport, Michigan, si sta costruendo una scuola progettata per scoraggiare gli attentatori (48 milioni di dollari). Pareti ricurve, vetri antiproiettile, ecc. Nel solo 2017, per le scuole americane, sono stati spesi quasi tre miliardi di dollari per migliorare i sistemi di sicurezza.
Mi sembra evidente che queste misure tampone non risolveranno i problemi della sicurezza.
Probabilmente anche le mine anti-uomo costituiscono un affare per i fabbricanti di protesi. Gli affari sono affari.
Per molti anni se ne sono fabbricate nel mondo da 5 a 10 milioni. Le principali nazioni produttrici: Burma, Cina, Corea del Nord, Corea del Sud, Cuba, India, Iran, Iraq, Nepal, Pakistan, Russia, Singapore, Stati Uniti, Vietnam; Valsella fu una azienda italiana tra i più grandi produttori di mine; cessò la produzione nel 1994 (°). Le mine costano poco – dai 3 ai 15 dollari – ma servono 20 $ per disinnescarle. Medici Senza Frontiere (MSF), che oggi all’ospedale nella città di Mocha (Yemen) cura i feriti dalle mine – un terzo dei quali sono bambini – chiede alle autorità e alle organizzazioni specializzate di accelerare lo sminamento; 300.000 mine sono state disinnescate tra il 2016 e il 2018.
Il tipo di approccio che non va alle radici del problema mi ricorda la corsa a costruirsi il proprio rifugio antiatomico per proteggersi dal rischio di una guerra nucleare. Anche a noi, alla fine degli anni Sessanta, è stato chiesto da un costruttore se potevamo collaborare alla valutazione dello schermaggio necessario per ridurre il danno da radiazioni; rifiutammo, convinti che quella non fosse la strada per ridurre il rischio di olocausto.
Un commento appropriato di DAVID GREY: “Aiutatemi a capire il concetto: se in Italia ci sono troppi morti sul lavoro non vanno cercate le cause, ma basta ingrandire i cimiteri. Ho capito bene?”
(°) Nel 1999 è stata siglata la Convenzione internazionale per la proibizione in tutto il mondo dell’uso, stoccaggio, produzione e vendita delle mine antiuomo e per la distruzione di quelle inesplose; tuttavia gli ordigni inesplosi, sparsi in una sessantina di Paesi, sono ancora moltissimi: si stima siano intorno ai 100 milioni; 100 mila i morti negli ultimi 15 anni, 7.200 nel 2017.
Almeno in questo caso si è tentato di affrontare il dramma con misure concrete; ma la radice del problema è la guerra, che insanguina tanti paesi.